distanzaIn tema di condominio, ove il Giudice constati, con riguardo alla cosa comune, il rispetto dei limiti di cui all’art. 1102 c.c. e della struttura dell’edificio condominiale, deve ritenersi legittima l’opera realizzata anche senza l’esatta osservanza delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue. Le norme sulle distanze, invero, rivolte fondamentalmente a regolare con carattere di reciprocità i rapporti tra proprietà individuali, contigue e separate, sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale, purché compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni. In ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina la inapplicabilità della disciplina generale sulla proprietà, quando i diritti o le facoltà da questa previsti siano compressi o limitati per effetto dei poteri legittimamente esercitati dal condominio secondo i parametri previsti dall’art. 1102 c.c.

Cass. civ. Sez. II, 11/02/2014, n. 3094  

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.G.B., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv. PAGLIA Antonio e Ferdinando Paglia, con domicilio eletto presso l’Avv. Michele Lo Russo (studio Jelpo) in Roma, via del Corso, n. 504;

– ricorrente –

contro

B.D. in V., rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a margine del controricorso, dagli Avv. VENCO Mario e Alessandro Maini, con domicilio eletto nello studio di quest’ultimo in Roma, Via Merulana, n. 61/A;

– controricorrente –

e contro

P.L.;

– intimato –

e sul ricorso proposto da:

B.D. in V., rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a margine del controricorso, dagli Avv. Mario Venco e Alessandro Maini, con domicilio eletto nello studio di quest’ultimo in Roma, Via Merulana, n. 61/A;

– ricorrente in via incidentale condizionata –

contro

S.G.B. e P.L.;

– intimati –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Milano n. 377 in data 9 febbraio 2007.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10 gennaio 2014 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

uditi l’Avv. Ferdinando Paglia, anche per delega dell’Avv. Antonio Paglia, e l’Avv. Mario Venco;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale e rigetto dei restanti motivi, assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

Svolgimento del processo

1. – Con atto di citazione notificato in data 31 marzo 1994 S. G.B. convenne davanti al Tribunale di Como B. D. e N.G. per sentire confermare i provvedimenti di cui all’ordinanza precedentemente emessa dal Pretore di Cantù in data 3 marzo 1994, con la quale era stato ingiunto alle convenute (a) di provvedere alla rimozione dei contatori dell’energia elettrica dai vani nei quali gli stessi erano alloggiati, al ripristino dell’originaria situazione dei muri, alla demolizione di un gradino e alla chiusura di una bocca di gronda, (b) di non ulteriormente depositare oggetti nell’androne comune nonchè di non parcheggiare veicoli nel cortile comune in maniera tale da rendere difficoltoso il transito, ancora (c) di rimuovere il pluviale in fregio alla corte, i cavi elettrici collocati nell’androne, (d) di provvedere al ripristino della pavimentazione della porzione di cortile precedentemente sistemata con acciottolamento, (e) di rimuovere la presa d’acqua sistemata nella corte accanto al pluviale, (f) di murare l’accesso all’appartamento nuovamente praticato dalla B. in fregio sul pianerottolo comune, ripristinando quello originario, (g) di arretrare il balcone realizzato novellamente fino alla distanza di m. 1,50.

Si costituì B.D., resistendo, instando per la chiamata in giudizio del proprio dante causa P.L. (che venne autorizzata) e svolgendo domanda riconvenzionale di accertamento della comune proprietà (tra la medesima e l’attore) dell’intero mappale 158/3, di reintegrazione nel possesso nonchè di risarcimento del danno patito per il mancato utilizzo dei vani sottoscala, del terrazzo e del vano contatori.

Si costituirono, altresì, N.G. e P.L..

2. – Con sentenza depositata in data 26 aprile 1994, il Tribunale di Como, confermò integralmente i provvedimenti pretorili già emanati nella precedente fase del giudizio, dichiarò di esclusiva proprietà dell’attore sia i vani sottoscala posti a piano terra sia la porzione di androne posta a piano primo ed eccedente la semplice proiezione del pianerottolo strettamente pertinente al giro scala, e condannò P.L. a corrispondere a B.D. la somma di Euro 5.000, oltre interessi legali.

3. – La Corte d’appello di Milano, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 9 febbraio 2007, ha così provveduto: (a) ha revocato l’ordinanza pretorile del 3 marzo 1994;

(b) ha accertato e dichiarato la comproprietà tra S.G. B. e B.D. del mappale n. 158/3 limitatamente al primo piano ed al piano terreno, alle scale dal piano terreno al primo piano (compresi i due vani sottoscala nelle porzioni indicate ed il terrazzo al primo piano); (c) ha compensato integralmente tra le parti le spese di lite di primo grado; (d) ha compensato le spese di lite del grado di appello tra B. e P.; (e) ha condannato S. a rifondere a B. le spese di lite del grado di appello.

3.1. – La Corte territoriale ha a tal fine rilevato che dalla lettura degli atti di provenienza dall’originario proprietario S. G.B. a P.L. (e da quest’ultimo a B. D.) emerge che il mappale 158/3 nella zona che comprende il piano terreno, la scala dal piano terreno al primo piano ed il primo piano è in comproprietà tra il S. e la B..

La Corte di Milano ha anche ricordato che i pianerottoli sono, di regola, considerati componenti essenziali delle scale comuni.

I giudici del gravame hanno quindi ritenuto illegittima la condotta del S. tesa ad occupare in via esclusiva il vano in questione, e legittima la condotta dell’appellante B. sia relativamente alla apertura della porta di accesso al proprio appartamento in luogo diverso da quello originario sia relativamente al posizionamento del balcone, non potendo esserci violazione delle norme relative alle distanze rispetto al vano androne di proprietà comune.

Quanto al ripristino del contatore Enel, sulla grondaia posta a sud, la Corte territoriale ha rilevato che “nessuna pronuncia deve esservi su tali domande, considerata la dichiarata erroneità della loro proposizione nell’appello da B. (dopo aver chiesto la cessazione della materia del contendere in primo grado; la difesa B. chiede che siano dichiarate come non proposte) e l’eccezione di inammissibilità formulata da S.”.

4. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il S. ha proposto ricorso, con atto notificato il 25 marzo 2008, sulla base di sei motivi.

Ha resistito, con controricorso, la B., proponendo, a sua volta, ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi.

Il P. è rimasto intimato rispetto sia al ricorso principale che al ricorso incidentale condizionato.

Il ricorrente e la controricorrente hanno depositato memorie illustrative in prossimità dell’udienza.

Motivi della decisione

1. – Preliminarmente, i due ricorsi devono essere riuniti, trattandosi di impugnazioni riferite alla stessa sentenza.

2. – Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa i fatti controversi e decisivi per il giudizio, rappresentati dall’essersi il venditore S. riservato la proprietà esclusiva del sottoscala dell’androne di accesso al piano terra e dall’essersi il S. altresì riservato la proprietà esclusiva del loggiato-veranda al primo piano o dall’averne trasferito la comproprietà all’acquirente.

2.1. – Il motivo è inammissibile perchè non rispetta la prescrizione di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ..

Alla stregua della letterale formulazione del citato art. 366 bis cod. proc. civ. – introdotto, con decorrenza dal 2 marzo 2006, dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, ma applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 e il 4 luglio 2009 (cfr. della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5) – questa Corte è ferma nel ritenere che, a seguito della novella del 2006, nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, allorchè, cioè, il ricorrente denunci la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria e le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione (Sez. Un., 18 ottobre 2012, n. 17838).

Ciò importa, in particolare, che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603).

Al riguardo, ancora è incontroverso che non è sufficiente che l’indicazione del fatto controverso e delle ragioni della non adeguatezza della motivazione sia esposta nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, occorrendo a tal fine una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata.

Nella specie il motivo di ricorso, formulato ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, è totalmente privo di tale momento di sintesi, iniziale o finale, perchè manca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo indicante le ragioni del dedotto vizio motivazionale.

3. – Il secondo mezzo (violazione dell’art. 132 cod. proc. civ., per la contraddittorietà del dispositivo della sentenza in punto di revoca dell’ordinanza pretorile del 3 marzo 1994 rispetto alla motivazione) si chiude con il quesito di diritto “se la portata precettiva della sentenza vada individuata in base alle statuizioni formali contenute nel dispositivo, senza che il deciso possa desumersi da affermazioni contenute in motivazione”.

3.1. – Il motivo è inammissibile per genericità del quesito di diritto.

Il quesito con il quale l’esposizione del motivo di ricorso si conclude, infatti, si risolve nella mera affermazione della regola processuale sulla individuazione della portata precettiva della pronuncia giudiziale e sui limiti della possibilità di tener conto, a tal fine, oltre che del dispositivo, della motivazione, ma non si rapporta in alcun modo alla vicenda dedotta in lite, e non consente, perciò, l’individuazione effettiva, e non meramente retorica, di una quaestlo luris sulla quale il giudice di legittimità sia chiamato a pronunciarsi.

4. – Con il terzo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1117, 1362 e 1363 cod. civ., quanto alla ritenuta comproprietà del sottoscala e dell’androne al piano terreno nonchè del loggiato- veranda al piano primo, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3) si pongono i seguenti quesiti: (a) “se, ex art. 1117 cod. civ., le scale, i portoni d’ingresso, i vestiboli, gli anditi e in generale tutte le parti dell’edificio necessaria all’uso comune siano oggetto di proprietà comune solo se il contrario non risulti dal titolo”;

(b) “se, ex art. 1362 cod. civ., il giudice, nell’ interpretare le clausole contrattuali, allorchè le espressioni usate fanno emergere in modo immediato la comune volontà delle parti, debba attenersi al significato letterale delle parole, senza fare applicazione degli ulteriori criteri di ermeneutica sussidiari”; (c) “se in forza di detti principi possa concludersi, diversamente da quanto ritenuto nell’impugnata sentenza, che il S. con l’atto di compravendita 8 giugno 1989 si era riservato la proprietà esclusiva dell’androne di accesso a piano terreno e del sottoscala”; (d) “se, ex art. 1362 cod. civ., nell’interpretare il contratto si debba indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti; se, ex art. 1363 cod. civ., le clausole del contratto si debbano interpretare le une per mezzo delle altre considerandosi in via unitaria l’intero contenuto del negozio; se in forza di detti principi possa concludersi, diversamente da quanto ritenuto dall’impugnata sentenza, che il S. non ebbe a trasferire la comproprietà del loggiato-veranda al primo piano”.

Con il quarto motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 cod. civ., quanto all’autonomia strutturale e funzionale del loggiato veranda, ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3) si pone l’interrogativo se, ex art. 1117 cod. civ., in caso di frazionamento della proprietà di un edificio da costituirsi in condominio, la presunzione legale di comunione prò indiviso vige solo per quelle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano destinati all’uso comune, e se, anche in forza di detto principio, debba concludersi che, diversamente da quanto ritenuto nell’impugnata sentenza, il loggiato- veranda al primo piano è di proprietà del venditore S., perchè non specificamente alienato.

4.1. – Il terzo ed il quarto motivo – i quali, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati.

La Corte d’appello è giunta alla conclusione che il mappale 158/3 nella zona che comprende il piano terreno, la scala dal piano terreno al primo piano ed il primo piano è in comproprietà tra il S. e la B., sulla base di una analisi, condotta con logico e motivato apprezzamento, delle risultanze di causa.

La Corte territoriale ha infatti rilevato che la scheda planimetrica allegata all’atto di compravendita tra il S. ed il P. contiene, con riferimento al mappale 158/3, la dicitura “bene comune non censibile – scala comune al sub 1-2 e altri”, senza che in detta scheda venga operata alcuna distinzione tra eventuali porzioni del mappale 158/3 appartenenti in comproprietà e porzioni di esclusiva proprietà del S.. La Corte di merito ha inoltre evidenziato la diversa regolamentazione che il S. ha deciso di dare agli enti comuni nelle distinte vendite, sottolineandosi proprio come nel secondo caso (quello riferito alla proprietà attualmente della B.) nel titolo derivativo viene precisato che, unitamente alla proprietà esclusiva dell’unità immobiliare, vengono trasferite le quote di comproprietà ai sensi dell’art. 1117 cod. civ., sulle parti comuni condominiali, tra cui il cortile comune ed il vano scala comune al mappale 158/3, limitatamente dal piano terra al primo piano.

I giudici d’appello hanno quindi argomentato, sulla base dei criteri che devono guidare l’interpretazione del contratto, incluso quello del rispetto della intenzione dei contraenti e della interpretazione complessiva delle clausole, che proprio in base al titolo si ricava che i beni controversi appartengono in comunione al S. e alla B. (quest’ultima come avente causa dal P.). E, in ciò, hanno considerato anche la limitazione “dal piano terra al primo piano”, evidentemente escludendo dal trasferimento la porzione del vano scala afferente al secondo piano dell’edificio.

I motivi di ricorso, nel contestare la conclusione alla quale è giunta la Corte territoriale e nel sostenere che il sottoscala, l’androne di accesso al piano terreno e il loggiato-veranda al primo piano appartengono in realtà in proprietà esclusiva al S., si risolvono in realtà, anche là dove prospettano il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto, nella prospettazione di una diversa valutazione dei medesimi elementi di fatto già esaminati dal giudice del merito, e quindi nel tentativo di sollecitare un inammissibile nuovo sindacato sul merito della controversia, senza considerare che l’interpretazione del titolo contrattuale è operazione che si sostanzia in un accertamento di fatto, come tale riservato al giudice di merito ed incensurabile in cassazione quando, come nella specie, esso è rispettoso dei criteri legali di ermeneutica e si accompagna ad una coerente motivazione, immune da vizi logici.

Invero, per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Sez. 3, 20 novembre 2009, n. 24539; Sez. 3, 25 settembre 2012, n. 16254).

6. – Con il quinto motivo (violazione o falsa applicazione degli artt. 1102 e 1122 cod. civ., quanto allo spostamento dell’ingresso della proprietà B.), posto in via sussidiaria, si sostiene che sarebbe illecito lo spostamento della porta di ingresso alla proprietà B., stante la sua interferenza con l’apertura della porta-vetrata d’accesso al balcone loggiato-veranda.

6.1. – Il motivo è inammissibile, perchè pone a questa Corte una quaestlo facti senza neppure indicare le risultanze probatorie da cui risulterebbero l’alterazione della destinazione della cosa comune o l’impossibilità di un pari uso per l’altro condomino. Assolutamente generico è, al riguardo, il riferimento alle “tre fotografie alla pag. 22 e ss. della c.t.u.” e alla “fotografia prodotta quale doc. 23”.

7. – Il sesto motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 905, 1102 e 1027 cod. civ., quanto al balcone dell’appartamento della B., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3) è accompagnato dai seguenti quesiti: (a) “se, ex art. 1027 cod. civ., allorchè il proprietario di un fondo sia anche comproprietario di un altro fondo contiguo, il concorso di altri titolari del bene comporti un’intersoggettività del rapporto che consentirebbe la costituzione di una servitù”; (b) “se le norme sulla distanza per l’apertura di vedute e balconi di cui all’art. 905 cod. civ., siano applicabili anche nei rapporti tra il condominio ed il singolo condomino di un edificio condominiale ove esse, nel caso specifico, siano compatibili con le norme di cui all’art. 1102 cod. civ., sull’uso delle cose comuni”; (c) “se, ex art. 1027 cod. civ., non potrebbe sussistere una servitù a carico di una parte comune di un edificio condominiale e a vantaggio di una parte di proprietà esclusiva”; (d) “se, in forza di detti principi, debba ritenersi, diversamente da quanto affermato nell’impugnata sentenza, che il balcone di proprietà B. dovrà essere arretrato sino alla distanza di m. 1,50 dal balcone del loggiato-veranda”.

7.1. – Il motivo è inammissibile per genericità.

In tema di condominio, ove il giudice constati, con riguardo alla cosa comune, il rispetto dei limiti di cui all’art. 1102 cod. civ. e della struttura dell’edificio condominiale, deve ritenersi legittima l’opera realizzata anche senza l’esatta osservanza delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue. Infatti, le norme sulle distanze, rivolte fondamentalmente a regolare con carattere di reciprocità i rapporti fra proprietà individuali, contigue e separate, sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale, purchè siano compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, cioè quando l’applicazione di quest’ultime non sia in contrasto con le prime; nell’ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina l’inapplicabilità della disciplina generale sulla proprietà, quando i diritti o le facoltà da questa previsti siano compressi o limitati per effetto dei poteri legittimamente esercitati dal condomino secondo i parametri previsti dall’art. 1102 cod. civ. (Sez. 2, 14 aprile 2004, n. 7044; Sez. 2, 18 marzo 2010, n. 6546).

Ora, il quesito che accompagna il motivo non è ancorato in alcun modo alla fattispecie concreta, e non consente di individuare in che misura l’opera realizzata dalla B. sia in contrasto con i limiti di cui all’art. 1102 cod. civ. e con la struttura dell’edificio condominiale.

8. – Il ricorso principale è rigettato.

Resta assorbito l’esame del ricorso incidentale condizionato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per compensi, oltre ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 gennaio 2014.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2014

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