È noto che l’art. 318 c.p.c. inserisca tra gli elementi dell’atto di citazione introduttivo del processo innanzi al giudice di pace la causa petendi di cui all’art. 163 n. 4 c.p.c., tradizionalmente individuata nel diritto sostanziale affermato dall’attore, in virtù del quale questi rivolge al giudicante le sue istanze (così, tra tutti, MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Torino 2003, I, 152).
È altresì noto che il requisito in parola sia previsto a pena di nullità dell’atto introduttivo dall’art. 164, comma 4, c.p.c., espressamente applicabile ex art. 311 c.p.c. anche nel procedimento davanti al giudice di pace.
La ragione di tale rigore formale, avvertito anche in tale ultimo procedimento, va ravvisata nell’esigenza del rispetto del superiore principio del contraddittorio, a mente del quale la parte chiamata nel giudizio civile deve, fermi restando gli altri elementi, poter individuare dall’atto che la cita a comparire le ragioni della richiesta formulata al giudicante da colui che ha dato impulso al processo.
Sul punto, in seno alla unanime giurisprudenza, Trib. Verona 2 novembre 1992:
«È nulla la citazione quando non contiene tutto ciò che è necessario alla individuazione del diritto dedotto in giudizio, e quindi sia il petitum che la causa petendi; in particolare, la deduzione in giudizio di un diritto c.d. eterodeterminato (quale è il diritto relativo di obbligazione, n.d.r.) deve contenere l’indicazione non solo del suo contenuto ma altresì l’indicazione del fatto costitutivo del diritto, pena la nullità della citazione ex art. 164, 1º comma, c.p.c. in relazione all’art. 163, n. 3, c.p.c.».
GIORGIO VANACORE
AVVOCATO IN NAPOLI

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