taxL’art. 73, comma 3° del D.P.R. n. 633 del 1972, prevede l’istituzione di un particolare meccanismo di assolvimento dell’Iva, facoltativo, comportante la perdita, da parte delle società controllate, della disponibilità dei rispettivi saldi Iva ed il trasferimento dei relativi crediti e debiti d’imposta alla società controllante. L’istituto de quo è tale da consentire alla società controllante di compensare con operazione algebrica, i saldi a credito o a debito risultanti dalle liquidazioni periodiche e dalle dichiarazioni annuali proprie e delle società partecipate, restando unico soggetto legittimato al versamento dell’imposta ovvero ad effettuare la scelta tra il rimborso annuale o l’accredito dell’eccedenza dell’imposta per l’anno successivo. Lo strumento dell’ “iva di gruppo” consente, dunque, di realizzare un consolidamento dei crediti e dei debiti d’imposta delle partecipanti al gruppo, con un vantaggio avente natura eminentemente finanziaria, consistente nella possibilità di ottenere un sollecito rimborso dei crediti Iva vantati da una delle società del gruppo mediante compensazione con l’eventuale Iva a debito di altre società dello stesso gruppo. Con tale strumento in sostanza, si evita che le società “a debito” debbano immediatamente versare l’imposta e le società “a credito” siano, invece, costrette ad attendere i tempi non celeri del ricorso ordinario.

Cass. civ. Sez. Unite, 02/02/2016, n. 1915     

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Primo Pres.te f.f. –

Dott. RORDORF Renato – Presidente di Sez. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – rel. Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23062-2008 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

MA.BA. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TORQUATO TARAMELLI 5, presso lo studio dell’avvocato PAOLINO MAURIZIO, rappresentata e difesa dall’avvocato MENNELLA MONICA, per delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 469/39/2007 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DEL LAZIO – Sezione distaccata di LATINA, depositata il 29/06/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 01/12/2015 dal Consigliere Dott. AURELIO CAPPABIANCA;

uditi gli avvocati Daniela GIACOBBE dell’Avvocatura Generale dello Stato, Monica MENNELLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Ma.Ba. s.r.l. propose ricorso avverso cartella, con la quale – in esito al controllo della dichiarazione i.v.a. presentata per l’anno 1998 – le era stato richiesto il pagamento dell’imposta non versata per effetto dell’applicazione del regime dell'”i.v.a. di gruppo”.

Ciò, in base al rilievo che detta società risultava controllata dalla s.n.c. Milano Impianti, che deteneva il 98% del relativo capitale sociale, e sul presupposto che il D.M. 13 dicembre 1979, n. 11065 e la circolare ministeriale 28.8.1986 n. 16/360711 escludono l’applicabilità del regime dell'”i.v.a. di gruppo” nel caso in cui la società controllante sia società di persone.

L’adita commissione provinciale respinse il ricorso, con decisione che, in esito all’appello della società contribuente, fu, tuttavia, riformata dalla commissione regionale.

In particolare, i giudici di appello, assunto che, ai fini considerati, la normativa i.v.a. postula una nozione di “gruppo” diversa da quella di cui all’art. 2359 c.c., negò che vi fossero valide ragioni giuridiche per ritenere il regime dell'”i.v.a. di gruppo” inapplicabile in caso di controllante società di persone.

Avverso la decisione di appello, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione in due motivi.

Con il primo motivo – deducendo violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 73 ed al D.M. 13 dicembre 1979, n. 11065, artt. 1 e 2 – l’Agenzia, formulando corrispondente quesito di diritto, ha censurato la decisione impugnata per aver i giudici di appello omesso di considerare che l’applicazione della disciplina di cui alle norme evocate, e specificamente di quella di cui al D.M. 13 dicembre 1979, n. 11065, art. 2, presuppone necessariamente che tanto le società controllate quanto la società controllante siano società di capitali.

Con il secondo mezzo, l’Agenzia ha denunciato contraddittorietà ed illogicità della motivazione, nella parte in cui la decisione impugnata supporta il convincimento che l’applicazione del regime dell'”iva di gruppo” non presuppone necessariamente che la società controllante sia società di capitali con il rilievo che le nozioni di “controllo” e di “gruppo”, prese in considerazione ai fini di detto regime, non coincide con quelle previste dall’art. 2395 c.c..

La società intimata ha resistito con controricorso.

Fissato per la discussione, a seguito di ordinanza interlocutoria della quinta sezione civile (ord. 11.451/14), il ricorso è stato rimesso a queste Sezioni unite per l’esame di questione di massima di particolare importanza.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

I – La questione rimessa e la sua prospettazione.

La questione rimessa all’esame di queste Sezioni unite investe il punto centrale della controversia, concernendo il se il particolare regime i.v.a. previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 73, comma 3, con riguardo alla cd. “i.v.a. di gruppo”, trovi applicazione solo nell’ipotesi in cui la società controllante sia società di capitali ovvero anche nel caso in cui la società controllante sia società di persone.

L’ordinanza di rimessione rileva che, mentre la normativa primaria e quella secondaria di riferimento (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 73, comma 3, e D.M. 13 dicembre 1979, n. 11065) sono, in proposito, caratterizzate dall’uso di locuzione, “ente o società controllante”, che non si qualifica per la necessaria esclusione delle società di persone dall’ambito di applicazione della sua previsione, la circolare ministeriale 28.2.1986 n. 16/360711, seguita da alcune risoluzioni dell’Agenzia (21.2.2005 n. 22/E e 6.11.2002 n. 347/E), nega recisamente che il regime dell'”i.v.a. di gruppo” possa trovare applicazione quando la società controllante presenti la veste di società di persone; e, peraltro, che indicazioni contraddittorie si riscontrano nelle istruzioni per la liquidazione dell’i.v.a.

periodica ed in quelle per le dichiarazione annuale.

Ciò posto e ritenuto che, sul tema, non può essere d’aiuto il diritto dell’Unione europea, l’ordinanza, in assenza di precedenti di legittimità anche a sezione semplice, ravvisa nella problematica in rassegna questione di massima di particolare importanza, sottolineandone, peraltro, l’interdipendenza con quella concernente l’applicabilità della liquidazione dell'”i.v.a. di gruppo” in riferimento a società controllate che siano società di persone.

2 – Il quadro normativo di riferimento.

1. Il diritto comunitario.

La disciplina dell'”i.v.a. di gruppo” è stata introdotta dall’art. 4, par. 4, della sesta direttiva i.v.a. (direttiva del Consiglio 17.5.1977 n. 77/388/CE), il cui contenuto (“… ogni Stato membro ha la facoltà di considerare come unico soggetto passivo le persone residenti all’interno del paese che siano giuridicamente indipendenti, ma strettamente vincolate tra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi”) è stato poi, nella sostanza, riprodotto nell’art. 11, comma 1, della attuale direttiva i.v.a. (direttiva del Consiglio 28.11.2006 n. 2006/112/CE).

La menzionata disciplina è ispirata ad un criterio di tassazione “di gruppo”, implicante il superamento degli schermi giuridici determinati dalle distinte soggettività, attraverso la costituzione del “gruppo” in unico soggetto passivo dell’imposta, e, con esso, il consolidamento degli imponibili.

2. La normativa nazionale.

2.1 La normativa primaria.

La disciplina nazionale dell'”i.v.a. di gruppo” è primariamente tracciata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 73, comma 3, (come sostituito dal D.P.R. n. 24 del 1979, art. 1).

La disposizione recita: “Il Ministro delle finanze può disporre con propri decreti, stabilendo le relative modalità, che le dichiarazioni delle società controllate siano presentate dall’ente o società controllante all’Ufficio del proprio domicilio fiscale e che i versamenti di cui agli artt. 21, 30 e 33 siano fatti all’Ufficio stesso per l’ammontare complessivamente dovuto dall’ente o dalla società controllante e dalle società controllate, al netto delle eccedenze detraibili”. Ribadita, quanto alle eccedenze suddette, la soggezione alla previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30 e rimarcata espressamente la persistenza degli obblighi e della responsabilità delle società controllate, l’ultimo periodo del comma in rassegna stabilisce, poi, che “si considera controllata la società le cui azioni o quote sono possedute dall’altra per oltre la metà fin dall’inizio dell’anno solare precedente”.

Demandandone la concreta attuazione a decreto ministeriale, la norma riportata prevede (e regola nelle sue linee essenziali) l’istituzione di un particolare meccanismo di assolvimento dell’i.v.a., peraltro facoltativo, comportante la perdita da parte delle società controllate della disponibilità dei rispettivi saldi i.v.a. ed il trasferimento dei relativi crediti e debiti d’imposta alla società controllante, così da consentire a quest’ultima (capofila) di compensare, con operazione algebrica, i saldi a credito o a debito risultanti dalle liquidazioni periodiche e dalle dichiarazioni annuali proprie e delle società partecipate e di restare, così, l’unico soggetto legittimato al versamento ovvero ad effettuare la scelta annuale tra il rimborso o l’accredito nell’anno successivo dell’eccedenza detraibile del gruppo.

L’utilizzo dell’indicato strumento – che realizza un consolidamento dei crediti e dei debiti di imposta delle partecipanti al gruppo – comporta il vantaggio, di natura eminentemente finanziaria (e, negli effetti, non dissimile da quello che assicura la cd. “procedura di rimborso accelerato” di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 bis, comma 2: cfr. Cass. 4843/15, 28692/05), consistente nella possibilità di ottenere un sollecito rimborso dei crediti i.v.a.

vantati da una (o da alcune) delle società del gruppo, mediante compensazione con l’eventuale i.v.a. a debito di altra (o altre) società del gruppo medesimo (v. Cass. 12768/06); di tal che, mediante liquidazione unitaria, si evita che, all’interno dello stesso gruppo, le società “a debito” debbano immediatamente versare l’imposta e le società “a credito”, siano, invece, costrette ad attendere i tempi, non celeri, del rimborso ordinario.

2.2 La normativa secondaria.

Nel dare attuazione alla sopra riportata disposizione, il D.M. 13 dicembre 1979, n. 11065 (modificato dai DD.MM. 21 ottobre 1988 e 18 dicembre 1989) circoscrive testualmente il novero delle società controllate ammesse alla fruizione della liquidazione “di gruppo” alle sole “società per azioni, in accomandita per azione e a responsabilità limitata” e, dunque, alle sole società di capitali (v. l’art. 2, comma 1); e puntualizza, poi (v. l’art. 2, comma 2) che “le società controllanti a loro volta controllate da un’altra società possono avvalersi della facoltà prevista dal presente decreto soltanto se la società che le controlla rinuncia ad avvalersene”.

All’art. 6, il d.m. dispone, inoltre, che “le società controllate rispondono in solido con l’ente o società controllante delle somme o imposte risultanti dalle proprie liquidazioni periodiche o dalle proprie dichiarazioni e non versate dall’ente o società controllante”. Ed, altresì, prescrive (mediante rinvio ricettizio alla norma del D.P.R.: cfr. Cass. 28692/05) che le eccedenze di crediti d’imposta, risultanti dalle dichiarazioni di alcune società del gruppo, compensate in tutto o in parte con somme che avrebbero dovuto essere versate dalle altre società del gruppo medesimo devono essere garantite secondo “le disposizioni del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis”: vale a dire mediante cauzione o fideiussione, prestata dalla società il cui credito sia stato estinto, la quale, in assenza di garanzia, è tenuta a versare l’importo corrispondente alle eccedenze di credito compensate nel termine di presentazione della dichiarazione.

3 – Raffronto delle normative europea e nazionale.

1. Differenze.

I dati normativi sopra riportati rivelano che il regime dell'”i.v.a.

di gruppo” definito dall’ordinamento nazionale – riducendosi ad una procedura di mera liquidazione del tributo, in quanto, in ottica di mera consolidazione dei debiti e dei crediti d’imposta, caratterizzato dal mantenimento della soggettività passiva delle singole società partecipanti al gruppo e dalla limitazione degli affetti semplificativi al trasferimento dei saldi d’imposta al fine della loro compensazione ad opera della società capogruppo (value added tax group) – non si uniforma a quello delineato nel sistema comunitario, che, nella prospettiva di consolidazione degli imponibili, comporta, invece, ben più pregnante unificazione a livello soggettivo (value added tax consolidation).

2. Segue: effetti.

La discrepanza non comporta, di per sè, profili d’illegittimità della disciplina nazionale per incompatibilità con quella comunitaria.

L’art. 4, par. 4, della sesta direttiva i.v.a. (“… ogni Stato membro ha la facoltà di considerare come unico soggetto passivo…”) e, quindi, l’art. 11, comma 1, della attuale direttiva i.v.a. (“…

ogni Stato membro può considerare come unico soggetto passivo…”) non sono, infatti, disposizioni di diretta applicazione nell’ordinamento interno, giacchè, in proposito, essi, prevedono in capo agli stati membri, non un obbligo, ma solo una facoltà di attuazione, da esercitarsi mediante specifico atto normativo di trasposizione. E (come precisato da Corte giust. 22.5.2008, in causa C-162/07, Ampliscientifica e Cass. 6105/09), ad onta di alcune espressioni verbali, tale trasposizione non è ravvisabile nella previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 73, comma 3, (modificato dal D.P.R. n. 24 del 1979, art. 1) ed al D.M. 13 dicembre 1979, n. 11065, giacchè lo Stato italiano non ha adempiuto le formalità procedimentali all’uopo prescritte e non è inserito nell’elenco comunitario dei Paesi che hanno applicato la direttiva;

nè è successivamente avvenuta, posto che, solo con la L. n. 24 del 2014, art. 13, comma 1, lett. b, è stata conferita delega al Governo per il recepimento dell’11 della direttiva 2006/112/Ce.

Se ne deve, quindi, inferire che, come puntualmente rilevato dall’ordinanza interlocutoria, la richiamata normativa europea, non potendo essere utilmente invocata al fine dell’applicazione del regime della liquidazione “di gruppo” in situazioni non corrispondenti alla previsione della normativa interna, non è di alcun ausilio ai fini della risoluzione del questione rimessa.

4 – La questione proposta e l’ordinamento nazionale.

Alla luce di quanto esposto in precedenza, la questione rimessa a queste Sezioni unite va, dunque, risolta alla stregua del solo diritto nazionale, che, in proposito (v. p. 2 – 2.), offre, tuttavia, spunti dissonanti.

Invero, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 73, comma 3, (come modificato dal D.P.R. n. 24 del 1979, art. 1), delinea l’ambito soggettivo della disposta disciplina dell'”i.v.a. di gruppo” mediante l’uso locuzioni, “società controllate” e “ente o società controllante”, che, univocamente, non escludono dal novero dei soggetti ammessi alla fruizione del particolare regime, con riguardo sia alla categoria dei soggetti controllati sia a quella dei soggetti controllanti, le società di persone; rientrando queste, a pieno titolo, nella nozione legislativa di “società” e di “ente”.

La normativa secondaria di attuazione della disposizione in precedenza richiamata, costituita dal D.M. 13 dicembre 1979 – mentre, quanto al soggetto controllante, ripropone, in ogni articolazione, la generica qualificazione (“ente o società controllante”) propria del D.P.R. n. 633 del 1972 – circoscrive, per converso, il campo delle società controllate rilevanti ai fini della disciplina dell'”i.v.a.

di gruppo” alle sole società di capitali (“società per azioni, in accomandita per azione e a responsabilità limitata”). Peraltro, secondo la circolare ministeriale 28.2.1986, n. 16/360711, il D.M. 13 dicembre 1979, art. 2 – nel limitare, al comma 1, l’ambito delle società controllate rilevanti ai fini considerati alle sole società di capitali e, nel contempo, prevedendo, al comma 2, che dette società controllate possono, a loro volta, assumere la veste di società controllanti altre società – lascerebbe “chiaramente intendere che entrambe debbono assumere la veste di società di capitali”.

5 – Coordinamento dei dati normativi interni.

1. – Premesse generali.

Al fine del superamento delle antinomie del riportato quadro disciplinare, è utile premettere che le circolari amministrative – non citate dall’art. 1 disp. gen. (che, dopo leggi e regolamenti al terzo posto contemplava le “norme corporative” e al quarto tuttora contempla gli “usi”) – non hanno natura normativa nè costituiscono fonti del diritto. Esse sono atti interni dell’Amministrazione, destinati ad indirizzare e disciplinare in modo uniforme l’attività degli organi della medesima e, in quanto tali, non possono prevalere nè sulle disposizioni regolamentari nè, tanto meno, su norme di legge (cfr., tra le altre, Cass. 14816/14, 16612/08, ss.uu.

23031/07).

Mette conto, poi, rilevare che, nel nostro ordinamento, il rapporto tra le varie fonti di produzione del diritto (nella specie: legge e D.M. d’attuazione) è, per il profilo che qui rileva, regolato in termini di gerarchia.

Infatti, l’art. 1 disp. gen. recita che “sono fonti del diritto: 1) le leggi; 2) i regolamenti;…”; e, sotto la rubrica “Limiti della disciplina regolamentare”), il successivo art. 4 puntualizza che “i regolamenti non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi”.

Ne discende che, quando regolano la stessa materia, i regolamenti sono gerarchicamente subordinati alle leggi, le quali, in caso di contrasto, prevalgono (v., tra le altre, Cass. 258/09, 10693/07);

mentre, per quanto detto in precedenza, le circolari non possono mai prevale nè sulle leggi nè sui regolamenti.

2. – L’elemento testuale, con riferimento alla società controllante.

Ferme le riportate premesse teoriche, l’approfondimento della questione specificamente devoluta impone, in primo luogo, di rilevare che, non diversamente dalla norma primaria di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 73, comma 3, anche la norma secondaria di cui al D.M. 13 dicembre 1979, art. 2, non contempla, ai fini dell’applicazione del regime dell'”iva di gruppo”, alcuna testuale diretta esclusione delle società di persone dal novero dei soggetti controllanti, giacchè egualmente qualificano la relativa categoria con la non discriminante locuzione “ente o società controllante”.

L’esclusione delle società di persone dall’ambito dei soggetti controllanti rilevanti ai fini considerati non può, d’altro canto, desumersi (come propone la circolare 28.2.1986, n. 16/360711), in base al rilievo che – limitando, al comma 1, l’applicazione del regime dell'”iva di gruppo” alle sole società controllate che siano società di capitali e, nel contempo, prevedendo, al comma 2, che dette società controllate possono, a loro volta, assumere la veste di società controllanti altre società – il D.M. 13 dicembre 1979, art. 2 lascerebbe “chiaramente intendere” che sia le società controllate sia la società controllante debbono necessariamente assumere la veste di società di capitali.

Infatti, la circostanza che le società controllate (che, secondo il primo comma della norma secondaria, devono necessariamente essere società di capitali) possono, ai sensi del secondo comma della disposizione, assumere, a loro volta, la veste di società controllanti altre società non conduce alla conseguenza che, anche le società controllanti, debbono inevitabilmente essere società di capitali, giacchè, tra premessa e conseguenza che se ne trae, manca qualsiasi rapporto di interdipendenza logica.

Deve, dunque, concludersi che, in base ai rispettivi dati testuali, nè la norma primaria, prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 73 comma 3, nè quella secondaria, di cui al D.M. 13 dicembre 1979, art. 2, escludono l’applicabilità del regime dell'”iva di gruppo” ove la società controllante abbia natura di società di persone.

3. – L’elemento testuale e le società controllate.

Come si è visto (cfr. p. 4 e la circ. 28.2.1986 n. 16/360711), la tesi secondo cui il regime dell'”iva di gruppo” non è applicabile quando la società controllante sia una di società di persone è sostenuta in base ad una (non condivisa: v. precedente n. 3) lettura sistematico-estensiva della previsione al D.M. 13 dicembre 1979, art. 2, comma 1, laddove testualmente esclude dal regime dell'”iva di gruppo” le società controllate che non presentino natura di società di capitali.

Ciò posto, non può trascurarsi di considerare ulteriormente che, nella parte in cui definisce la società controllata rilevante ai fini della disciplina dell'”i.v.a. di gruppo” quale società necessariamente di capitali, la disposizione attuativa di cui al D.M. 13 dicembre 1979, art. 2, restringendo l’ambito di applicazione dell’istituto disciplinato rispetto a quello delineato dalla legge, rivela profili di contraddizione con la normativa primaria, suscettibili di risoluzione, in via di disapplicazione, in base al richiamato (v. il precedente n. 1.) criterio della gerarchia delle fonti, alla stregua del quale, come si è visto, la norma secondaria non può mai prevalere sul dato legislativo e sull’interpretazione che se ne ricava; con la conseguenza che il sillogismo su cui si fonda la tesi qui criticata, ancor prima che per il motivo indicato al precedente n. 2, cade per l’inconsistenza della premessa principale.

Deve, invero, rilevarsi che, in forza della previsione del primo periodo, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 73, comma 3, attribuisce alla norma secondaria solo il potere di stabilire il “se” introdurre il regime di “liquidazione di gruppo” e di determinare, in tal caso, le “modalità” delle dichiarazioni e dei versamenti, ma non anche quello di alterarne l’ambito di applicazione soggettiva come da essa normativa primaria determinato, operandovi discriminazioni, giacchè, come pure prospetta l’ordinanza di rimessione, ciò implica opzioni esorbitanti l’incidenza sulle meramente strumentali “modalità ” di dichiarazione e di versamento e, dunque, fuori delega.

4. – L’elemento finalistico.

L’esclusione delle società di persone dal novero delle società controllanti ammesse al regime dell'”iva di gruppo” di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 73, comma 3 non appare, peraltro, giustificabile in funzione di argomenti di ordine finalistico.

In tale prospettiva, a sostegno della tesi secondo cui la liquidazione “dell’i.v.a. di gruppo” è limitata alle società di capitali, viene solitamente dedotto che solo siffatta impostazione è coerente con la disciplina del consolidato fiscale nazionale ed, inoltre, che la limitazione, essendo la contabilità delle società di capitali più rigorosa rispetto a quella delle società di persone, varrebbe ad ostacolare fenomeni di frode.

Gli esposti rilievi non sono decisivi.

In proposito, occorre rilevare che il fenomeno della tassazione “di gruppo” in materia di imposte dirette di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 117 (cd. “consolidato nazionale”) non è comparabile a quello della liquidazione “dell’i.v.a. di gruppo”, giacchè, oltre a riguardare un differente prelievo tributario e ad essere diversamente strutturato, incide su soggetti, consolidanti e consolidati, specificamente individuati a termini di legge in base a criteri affatto diversi e presuppone, inoltre, una del tutto difforme nozione di “controllo” (cfr. la previsione del combinato disposto dal D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 117 e 120 e art. 73, comma 1, lett. a, b, d, nonchè art. 2359 c.c., in tema di tassazione “di gruppo” in materia di imposte dirette, in rapporto a quella del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 73, comma 3, in tema di tassazione “di gruppo” in materia di i.v.a.).

Deve, poi, osservarsi che – mentre gli adempimenti di contabilità a fini i.v.a. non presentano differenze in funzione della natura del soggetto d’imposta – il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 73, comma 3, ha corredato il regime dell'”i.v.a. di gruppo” di presidi atti a contrastarne il possibile uso a finalità elusiva o evasiva (cfr. Cass. 12786/06), e, oltre che attraverso l’espressa enunciazione della persistenza di obblighi e responsabilità in capo alla società il cui debito d’imposta risulti estinto nell’ambito della compensazione “di gruppo”, ha ritenuto di doverlo fare (v. l’ultima parte del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 73, comma 3, nelle versioni via via succedutesi) con precipuo riferimento all’ambito temporale d’applicazione del regime piuttosto che in funzione delle pure caratteristiche soggettive del contribuente (“si considera controllata la società le cui azioni o quote sono possedute dall’altra per oltre la metà fin dall’inizio dell’anno solare precedente”). E va, peraltro, considerato che (con ciò confermando l’assimilazione, nelle finalità, dell'”iva di gruppo” alla “procedura di rimborso anticipato”: cfr. p. 2 – 2.1) il D.M. 13 dicembre 1979, n. 11065, art. 6, questa volta nei limiti della demandata definizione delle “modalità” operative del regime, impone, a carico della società il cui credito sia stato estinto, di adottare – per le eccedenze di credito delle società controllate ovvero della società controllante compensate in tutto o in parte con le somme che società controllate ovvero società controllante avrebbero dovuto versare – di quella medesima garanzia che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis prescrive per l’ipotesi di rimborso accelerato del credito iva.

Anche alla luce della ricorrenza degli indicati presidi, non può, infine, omettersi di sottolineare che, una disparità di trattamento delle società di persone, nell’ambito dei soggetti collettivi ammessi al regine dell'”i.v.a. di gruppo”, difficilmente potrebbe sottrarsi al rilievo di operare – in rapporto al vantaggio (ancorchè solo finanziario) scaturente dalla possibilità di adesione a detto regime – una discriminazione, che, non trovando giustificazione in alcun concreto interesse pubblico da tutelare, incide indebitamente sull’esigenza di parità di trattamento tra soggetti che egualmente operano nel medesimo mercato.

5 – Alla stregua delle considerazioni che precedono, la questione proposta va risolta nel senso che il particolare regime i.v.a.

previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 73, comma 3, con riguardo all'”i.v.a. di gruppo”, trova applicazione anche nell’ipotesi in cui la società controllante sia società di persone.

Poichè la decisione impugnata è aderente all’affermato principio – ed attesa l’inammissibilità del secondo mezzo (sintetizzato in narrativa), in quanto vizio di motivazione in diritto non denunciabile come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. 28663/13, ss.uu.

28054/08, 8612/06) e, peraltro, formulato in violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis) – s’impone il rigetto del ricorso dell’Agenzia.

Considerati la natura della controversia, i contraddittori profili normativi e la novità della questione (almeno a livello di giurisprudenza di legittimità), si ravvisano le condizioni per disporre l’integrale compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

la Corte, a sezioni unite, respinge il ricorso; compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2016

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