consumatoreLa disciplina prevista a tutela del consumatore ed, in particolare, quella di cui all’art. 33, comma 2, lett. f) del Codice del consumo (D.Lgs. n. 206 del 2005), riferito alle clausole vessatorie, non trova applicazione qualora la parte contrattuale che la invochi sia una persona giuridica cha agisce per scopo inerente alla sua attività commerciale.

Cass. civ. Sez. III, 24/09/2013, n. 21847 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4086/2008 proposto da:

M. & C. DI M. ANGOTZI & C. S.N.C. (OMISSIS) in persona del legale rappresentante pro tempore Sig.ra CAROLINE HEISS, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSTANTINO MORIN 1, presso lo studio dell’avvocato CORSANI ALESSANDRO, rappresentata e difesa dall’avvocato BARTOLI MARIO giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

ARCAFFE’ S.P.A. (OMISSIS) in persona del suo legale rappresentante Dott. M.F., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DELLA LIBERTA’1 20, presso lo studio dell’avvocato CIPOLLONE LINDA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARTINELLI FRANCESCO giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 299/2007 del TRIBUNALE di LIVORNO, depositata il 21/03/2007, R.G.N. 4817/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/06/2013 dal Consigliere Dott. PAOLO D’AMICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto.
Svolgimento del processo

La Arcaffè s.p.a. propose appello avverso la sentenza del Giudice di Pace di Livorno che aveva respinto la sua domanda di condanna della M. & C. s.n.c. di M. Angotzi & C. al pagamento della penale pattuita tra le parti nel contratto di comodato stipulato il 20 aprile 2003, sostenendo la erroneità della decisione nella parte in cui era stata ritenuta la vessatorietà della clausola contenente detta penale e la conseguente necessità di specifica approvazione della stessa.

Il Tribunale ha accolto l’appello proposto dalla Arcaffè sostenendo che la clausola in esame non richiedeva la specifica sottoscrizione, non ricorrendo l’ipotesi di cui all’art. 1341 c.c.; ha pertanto affermato la validità della clausola con conseguente diritto della Arcaffè al pagamento della somma richiesta.

Propone ricorso per cassazione la M. & C. s.n.c. di M. Angotzi & C. con un unico motivo.

Resiste con controricorso Arcaffè s.p.a..
Motivi della decisione

Con l’unico motivo parte ricorrente denuncia “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 5, su un punto decisivo della controversia”.

Sostiene parte ricorrente che la scrittura privata del 20 aprile 2003, stipulata dalla Arcaffè s.p.a. e dalla M. & C. s.n.c. di M. Angotzi & C., è stata interpretata in modo erroneo dal Giudice di Appello il quale ha ritenuto che tale documento fosse relativo alla regolamentazione contrattuale del solo rapporto fra le suddette parti, anzichè di una serie indefinita di rapporti di natura commerciale della Società Arcaffè che aveva predisposto il relativo stampato.

E’ pertanto errato, secondo parte ricorrente, sostenere che la clausola che prevede l’indennizzo in caso di inadempimento non richieda una specifica sottoscrizione.

Il motivo è infondato.

Deve premettersi che alla fattispecie in esame non si applica la disciplina prevista a tutela del consumatore (in particolare la norma di cui al D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 33, comma 2, lett. f), in quanto la società comodataria è una persona giuridica, che ha agito per scopo inerente alla sua attività commerciale.

Pertanto la decisione del Tribunale è corretta secondo il principio di diritto enunciato con la sentenza n. 12153/2006, avendo il giudice di merito escluso che le predisposte condizioni generali siano state fissate per servire ad una serie indefinita di rapporti.

La cessione in comodato, nel caso particolare, riflette comunque un singolo rapporto, basato sull’intuitus personae.

In ogni caso è da considerare che l’unico motivo (vizio di motivazione ex art. 360 c.c., n. 5) presenta un quesito di diritto riferibile ad una pretesa violazione di norme in tema di interpretazione dei contratti, non pertinente rispetto alla censura di vizio di motivazione.

Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere rigettato con condanna di parte di ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano in Euro 1.000,00 di cui Euro 800,00 per compensi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2013.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2013

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