fallimento3333Il debitore convocato dinanzi al Giudice nel procedimento finalizzato ad ottenere la declaratoria di fallimento, non può vantare alcun diritto al differimento della trattazione al fine di ricorrere a procedure alternative. Ne consegue che il relativo diniego da parte del Giudice non configura una violazione del diritto di difesa, poiché tali iniziative sono riconducibili all’autonomia privata, il cui esercizio deve essere oggetto di bilanciamento ad opera dal Giudice, con le esigenze di tutela degli interessi pubblicistici cui è finalizzata la procedura fallimentare.

Cass. civ. Sez. VI – 1 Ordinanza, 30/10/2014, n. 23111 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 5223/2013 proposto da:

MOBILI SANTAMBROGIO SRL IN LIQUIDAZIONE (OMISSIS) in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 27, presso lo studio dell’avvocato VOLANTI ANTONIO, che la rappresenta e difende, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO MOBILI SANTAMBROGIO SRL IN LIQUIDAZIONE in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.G. BELLI 27, presso lo studio dell’avvocato IVONE GIUSEPPINA, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

ARRITAL CUCINE SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 49/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE dell’11.12.2012, depositata l’11/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’11/07/2014 dal Consigliere Relatore Dott. VITTORIO RAGONESI;

udito per il controricorrente l’Avvocato Giuseppina Ivone che si riporta agli scritti.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte, rilevato che sul ricorso n. 5223/13 proposto dalla Mobili Santambrogio s.r.l. in liquidazione nei confronti del Fallimento Mobili Santambrogio s.r.l. in liquidazione e Arrital Cucine s.p.a. il consigliere relatore ha depositato ex art. 380 bis c.p.c., la relazione, che segue.

Il relatore Cons. Ragonesi, letti gli atti depositati, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., osserva quanto segue.

La Mobili Santambrogio s.r.l. in liquidazione ha proposto ricorso per Cassazione affidato a cinque motivi avverso la sentenza pronunciata dalla Corte d’appello di Firenze n.49/2013 con cui veniva respinto il reclamo L. Fall., ex art. 18, da essi presentato avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di Lucca n. 44-2012 in data 23/04/2012, depositata in data 30/04/2012, con la quale, su istanza di Arrital Cucine s.p.a. era stato dichiarato il suo fallimento.

Il fallimento ha resistito con controricorso. La Arrital cucine s.p.a. non ha svolto attività difensiva.

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente censura la sentenza impugnata, sotto il profilo della violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 6, per avere la Corte d’Appello ritenuto sussistente la legittimazione della Arrital a chiedere la dichiarazione del fallimento nonostante il credito, portato da decreto ingiuntivo n.1035/2011, fosse inesigibile a causa di un intervenuto accordo dilatorio.

Il motivo è manifestamente infondato e per certi versi inammissibile.

La Corte d’Appello ha rigettato il motivo di reclamo del difetto di legittimazione della Arrital in adesione all’orientamento di questa Suprema Corte secondo il quale la qualità di creditore, necessaria ai fini della proposizione del ricorso ai sensi della L. Fall., art. 6, si estende a tutti coloro che vantano un credito nei confronti del debitore, ancorchè non necessariamente, certo, liquido ed esigibile ovvero non ancora scaduto o condizionale.

La Suprema Corte, a tal proposito, ha affermato il principio secondo cui, in tema di procedimento per la dichiarazione di fallimento, la nuova formulazione della L. Fall., art. 6, esclude l’iniziativa d’ufficio del tribunale ed implica, pertanto, che il giudice possa pronunciarsi nel merito solo in presenza di iniziativa proposta da soggetto legittimato ed a condizione che la domanda sia mantenuta ferma, cioè non rinunciata (Cass. Sez. 6^, ord. n. 3472 del 11-02- 2011 ; Cass. Sez. 1, Sent. n. 21478 del 19/09/2013).

Nel caso di specie la richiesta dell’unico creditore, Arrital cucine s.p.a., non è stata rinunciata e dunque la sua legittimazione a richiedere il fallimento rimane ferma.

Detto ciò, la circostanza con la quale il ricorrente lamenta la conseguente inesigibiltà del credito vantato dal richiedente il fallimento appare per certi versi inammissibile, giacchè sulla controversa validità di un intervenuto accordo dilatorio questa Corte non può esprimere una valutazione di merito.

E’ pur vero che su tale circostanza la Corte si è già pronunciata affermando, da un lato, che alfine della dichiarazione di fallimento, lo stato d’insolvenza, consistente nell’incapacità di adempimento delle obbligazioni assunte, alle previste scadenze e con mezzi normali (a prescindere dalle relative cause e dall’eventualità che la situazione patrimoniale presenti un’eccedenza delle poste attive su quelle passive), può essere escluso da un “pactum de nonpetendo” (Cass. Sez. 1, Sent. n. 1439 del 26/02/1990), ma nel caso di specie nessuna censura il ricorrente avanza sotto il profilo della insussistenza dell’insolvenza essendo la stessa volta invece a contestare la legittimazione di Arrital cucine; questione sulla quale non incide quella relativa all’accordo dilatorio.

Con il secondo e terzo motivo, che per l’analogia delle doglianze proposte possono essere trattati congiuntamente, il ricorrente censura l’illegittimità della sentenza impugnata sotto il profilo della violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 5, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e per avere la Corte d’Appello motivato insufficientemente in merito alla valutazione dell’immobile, avendo deciso sulla base di una perizia di parte che indica come criteri di valutazione dell’asse immobiliare “riferimenti di mercato” non indicati e gravando la Santambrogio dell’onere di provare il saldo attivo patrimoniale. Sostiene a tal proposito che la Corte avrebbe dovuto procedere ad un accertamento tecnico d’ufficio essendo stato in sede di merito contestato che dalle risultanze del bilancio si evidenzia un attivo patrimoniale, ancorchè non illiquido, superiore al passivo.

Va preliminarmente rammentata la giurisprudenza di questa Corte secondo cui quando la società versa in stato di liquidazione, la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione della L. Fall., art. 5, deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò in quanto – non proponendosi l’impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori sociali, previa realizzazione delle attività sociali, ed alla distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci – non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte.

(Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13644 del 30/05/2013 – Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6170 del 17/04/2003).

Ciò posto, il ricorrente lamenta che la Corte d’appello si sia pronunciata tenendo conto della sola perizia prodotta dal Fallimento, operata sulla base di criteri non oggettivi, senza tener conto della perizia di controparte.

Si rileva anzitutto che il motivo proposto sotto il profilo della violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, riguarda anche la carenza, insufficienza e contraddizione della motivazione. A tale proposito va osservato che essendo il ricorso proposto avverso una sentenza depositata il 11/01/2013, alla fattispecie risulta applicabile ratione temporis l’art. 360 c.p.c., n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, convertito con L. n. 134 del 2012, che prevede la possibilità di proporre ricorso per Cassazione solo per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Da ciò discende che le censure proposte nel ricorso sotto il profilo dell’insufficienza di motivazione devono ritenersi inammissibili.

Per il resto la corte d’appello ha correttamente proceduto alla valutazione della perizia del fallimento per accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentissero di assicurare il soddisfacimento dei creditori sociali, non ritenendo invece idonea perchè datata, e quindi non utilizzabile la perizia prodotta dalla controparte.

La Corte ha poi ritenuto che neppure la nota tecnica della consulenza di controparte che è stata, tardivamente, presentata soddisfaceva i requisiti minimi di attendibilità.

Trattasi dunque di valutazioni correttamente effettuate che riguardano il merito della decisione non suscettibili di sindacato in questa sede di legittimità.

Non è possibile poi sostenere la sussistenza di un obbligo del giudice di disporre la consulenza tecnica d’ufficio per accertare il valore dell’attivo e in particolare dell’immobile. Infatti, quando la nomina di un consulente tecnico non sia imposta dalla legge in considerazione della particolare natura della controversia, il giudice ha solo una facoltà di fare ricorso, anche di ufficio, al parere di un suo perito per le valutazioni che richiedono specifiche conoscenze tecniche. In assenza di istanza di parte il giudice non ha, dunque, alcun dovere di motivazione sulle ragioni che lo hanno indotto a non avvalersi di questa facoltà. (Cass. 3187/2006).

Dunque non si è in presenza di una omissione della corte d’appello, bensì di una valutazione correttamente operata.

Per ciò che concerne il quarto motivo di ricorso, con cui si lamenta la violazione del principio del contraddittorio, lo stesso è infondato, dal momento che la corte d’appello ha preso in considerazione la perizia della controparte, nonchè ha preso atto di una successiva nota tecnica, ma non ne ha tenuto conto per la decisione perchè, come dianzi detto, non le ha ritenute idonee per la loro inutilizzabilità.

Quanto ai profili contestati residualmente in questo motivo, sono da ritenere inammissibili per le stesse ragioni enunciate in relazione all’omissione di motivazione ai sensi del nuovo art. 360 c.p.c., n. 5.

Con il quinto ed ultimo motivo, il ricorrente lamenta la violazione della L. Fall., artt. 182 bis e 15, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per mancata concessione del termine per la presentazione di proposta di concordato o accordo preventivo.

La corte d’appello ha rigettato il motivo di reclamo relativamente alla richiesta di tale termine correttamente operando sulla scorta dell’insegnamento della giurisprudenza di legittimità per il quale in tema di procedimento per la dichiarazione di fallimento, non sussiste un diritto del debitore, convocato avanti al giudice, ad ottenere il differimento della trattazione per consentire il ricorso a procedure concorsuali alternative (nella specie, il concordato preventivo o l’accordo di ristrutturazione dei debiti), nè il relativo diniego da parte del giudice configura una violazione del diritto di difesa, in quanto tali iniziative (nella specie, nemmeno promosse con il deposito dei relativi atti) sono riconducibili all’autonomia privata, il cui esercizio dev’essere oggetto di bilanciamento, ad opera del giudice, con le esigenze di tutela degli interessi pubblicistici al cui soddisfacimento la procedura fallimentare è tuttora finalizzata. (Cass. 19214/2009).

Ne emerge, dunque, la manifesta infondatezza del motivo proposto in ricorso.

Ove si condividano i testè formulati rilievi, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio ricorrendo i requisiti di cui all’art. 375 c.p.c..

PQM. Rimette il processo al Presidente della sezione per la trattazione in Camera di Consiglio.

Roma 16.5.14.

Il Cons. Relatore.

Considerato che non emergono elementi che possano portare a diverse conclusioni di quelle rassegnate nella relazione di cui sopra e che pertanto il ricorso va rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo in favore del fallimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 3500,00 oltre Euro 100,00 per esborsi ed oltre spese forfettarie 15% ed accessori di legge. Sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente del doppio dei contributi ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 11 luglio 2014.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2014

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