Le norme del codice civile che stabiliscono i privilegi in favore di determinati crediti possono essere oggetto di interpretazione estensiva, la quale costituisce il risultato di un’operazione logica diretta ad individuare il reale significato e la portata effettiva della norma, che permette di determinare il suo esatto ambito di operatività anche oltre il limite apparentemente segnato dalla sua formulazione testuale e di identificare l’effettivo valore semantico della disposizione, tenendo conto dell’intenzione del legislatore e soprattutto della causa del credito. Infatti, secondo il principio rinvenibile nell’art. 2745 c.c., il privilegio trova comunque fonte nella legge in ragione della peculiare “causa” che lo giustifica, ossia per il fatto che l’ordinamento ritiene una data ragione di credito come portatrice di interessi meritevoli di tutela.

Cass. civ. Sez. III Ord., 13/05/2020, n. 8882

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26500/2018 proposto da:

SACE SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

VIRGILIO SPA, IN LIQUIDAZIONE IN COCORDATO PREVENTIVO GIA’ IMPRONTA CERAMICHE SPA, in persona del Liquidatore sociale e dal Liquidatore giudiziale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 94, presso lo studio dell’avvocato MAURO LONGO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABRIZIO CORSINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1524/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 05/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28/01/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

Svolgimento del processo

che:

1. Con ricorso notificato per mezzo del servizio postale il 6/7/2018, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bologna n. 1524/2018 notificata in data 7/6/2018, SACE S.p.A. propone gravame innanzi a questa Corte affidandolo a quattro motivi. Con controricorso notificato via pec il 19/10/2018, resistono la società Virgilio S.p.A. in liquidazione in concordato preventivo, il Dott. C.A. – Commissario Giudiziale e l’avv. R.S. – Liquidatore.

2. Per quanto qui d’interesse, il D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 11-quinquies (“Decreto competitività”) ha autorizzato SACE S.p.A. a rilasciare garanzie per il rischio di mancato rimborso di finanziamenti a supporto del processo di internazionalizzazione di imprese italiane che siano in possesso dei requisiti di cui al comma 3 del medesimo articolo. Ai sensi del comma 4, inoltre, tali garanzie beneficiano della contro-garanzia dello Stato italiano. In attuazione della predetta disciplina, SACE ha stipulato con la Cassa di Risparmio di Bologna una convenzione concernente, inter alia, un programma di mutui da erogarsi a piccole e medie imprese italiane per sostenere tali progetti di internazionalizzazione. Nel settembre 2007, l’allora Impronta Italgraniti S.p.A. (divenuta Impronta ceramiche e ora Virgilio S.p.A.) ha richiesto a SACE il rilascio di una garanzia inerente un mutuo rientrante nell’ambito di applicazione della Convenzione. SACE ha emesso la richiesta garanzia in favore della Banca mutuante, a supporto del progetto di internazionalizzazione dell’Impresa Beneficiaria, e la Cassa di Risparmio di Bologna, di conseguenza, ha stipulato con l’Impresa Beneficiaria il mutuo di importo pari ad Euro 3.000.000.00, oltre interessi, assistito da sostegno pubblico in forza della garanzia prestata.

3. In data 10/11/2009, Impronta è stata ammessa alla procedura di concordato preventivo. Il 19/11/2009, in ragione dell’omesso pagamento di una serie di rate scadute, la Cassa di Risparmio ha escusso la garanzia SACE cosicchè – nel dicembre del medesimo anno – quest’ultima pagava quanto ancora dovuto dall’Impronta, ossia l’importo di Euro 1.976.554,52. Intanto, la Società garante aveva revocato il proprio intervento di sostegno con lettera del 23/11/2009 e, nel gennaio 2010, aveva notificato al Commissario Giudiziale dell’Impronta, Dott. C., in via di surroga, il credito privilegiato D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 123, ex art. 9, comma 5. Tuttavia, il Commissario Giudiziale aveva comunicato che – sulla base degli accertamenti eseguiti nel corso della procedura – il credito in via di surroga doveva ritenersi chirografario, e non assistito da privilegio. SACE si era costituito nel giudizio di omologazione dinanzi al Tribunale di Modena che, in data 24/6/2010, ha omologato il concordato preventivo proposto da Impronta, ritenendo l’opposizione della Società garante infondata non essendo l’omologazione la sede di accertamento della natura del credito controverso. Conseguentemente, SACE ha instaurato un giudizio dinanzi al Tribunale di Modena affinchè venisse accertata e dichiarata la natura privilegiata del proprio credito D.Lgs. n. 123 del 1998, ex art. 9, comma 5. Con ordinanza pubblicata l’8/8/2011, il Tribunale ha rigettato la domanda statuendo che il credito dovesse trovare collocazione chirografaria nel passivo del concordato preventivo di Impronta, non sussistendo le condizioni per il riconoscimento del privilegio previsto dall’art. 9.

4. Contro la suddetta ordinanza ha proposto gravame SACE dinanzi alla Corte d’Appello di Bologna. Con la sentenza qui impugnata, il giudice di secondo grado ha rigettato l’appello, escludendo che il credito vantato da SACE potesse ritenersi privilegiato. La Corte ha rilevato, in primo luogo, che in forza del principio di tassatività dei privilegi, il riferimento contenuto nell’art. 9, comma 5, ai “finanziamenti erogati ai sensi del presente D.Lgs.” deve intendersi in senso stretto e letterale e, cioè, circoscritto alle sole ipotesi di “erogazioni dirette in denaro”: in secondo luogo, che il privilegio invocato da SACE sarebbe, in ogni caso, sorto successivamente all’apertura della procedura concordataria e, come tale, inopponibile alla stessa in forza della L. Fall., art. 168, comma 3.

Motivi della decisione

che:

1. Con il primo motivo si denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione del D.Lgs. n. 123 del 1998, artt. 1, 7 e art. 9, comma 5. Secondo la ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe negato la natura privilegiata del credito maturato da SACE sulla base di una non condivisibile interpretazione dell’art. 9, comma 5, del menzionato decreto. Per converso, un’interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata della norma de qua avrebbe condotto il giudice di secondo grado a risultati opposti. In relazione alla necessità di una interpretazione sistematica della normativa del ‘98. la Corte di merito avrebbe errato nel non passare in rassegna i suoi artt. 1 e 7. Il D.Lgs., in tesi, sarebbe preposto a disciplinare, in via generale, gli interventi pubblici a sostegno delle imprese e ricomprenderebbe nella nozione di “intervento di sostegno” – ai sensi del suo art. 1 – gli incentivi, i contributi, le agevolazioni, le sovvenzioni e i benefici di qualsiasi genere concessi da amministrazioni pubbliche anche attraverso soggetti terzi. Per quanto riguarda l’art. 7, invece, rileva che la disposizione stabilisce, espressamente, che gli interventi anzidetti siano attribuiti in una delle seguenti forme: “credito di imposta, bonus fiscale (…), concessioni di garanzia (…)”. Dalle norme testè riportate, la ricorrente ritiene che non possa revocarsi in dubbio che la concessione di garanzia rilasciata da SACE rientri nell’ambito applicativo del D.Lgs. n. 123 del 1998. E, di conseguenza, doveva ritenersi applicabile anche a tale tipologia di intervento il privilegio ex art. 9, comma 5, in base al quale “per le restituzioni di cui al comma 4 i crediti nascenti dai finanziamenti erogati ai sensi del presente D.Lgs. sono preferiti a ogni altro titolo di prelazione da qualsiasi causa derivante, ad eccezione del privilegio per spese di giustizia (…)”. Dunque, dal punto di vista sistematico, non vi sarebbe motivo di attribuire il privilegio anzidetto alle sole “erogazioni dirette in denaro”, e non anche alle “garanzie di firma” costituendo, sia le prime che le seconde, forme di contributi pubblici, ambedue volte a sostenere lo sviluppo delle attività delle imprese nazionali ed ambedue rientranti nell’ambito applicativo del D.Lgs. n. 123 del 1998. In relazione, invece, alla necessità di una interpretazione costituzionalmente orientata, la ricorrente ritiene che sarebbe del tutto illogico, al punto da esporre la norma in esame a profili di illegittimità costituzionale difficilmente superabili, ritenere che il legislatore abbia inteso discriminare la concessione di un “credito di firma” (concessione in garanzia) da quella di un – credito per cassa” (finanziamento in contanti), trattandosi di interventi aventi la medesima ratio di sostegno alle imprese, seppure in forme diverse. Peraltro, secondo la ricorrente, le argomentazioni addotte nel primo motivo avrebbero trovato recente avallo nell’ordinanza interlocutoria n. 11878/18 di questa Corte (Cass., Sez. 6-1, ordinanza n. 11878 del 15/5/2018).

2. Con il secondo motivo si censura – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 12 preleggi e D.Lgs. n. 123 del 1998, artt. 1, 7, art. 9, comma 5; nonchè del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 1, comma 2, lett. f, n. 2) e art. 106, comma 3 (T.U.B.). Secondo la ricorrente, la garanzia rilasciata da SACE deve ritenersi privilegiata D.Lgs. n. 123 del 1998, ex art. 9, comma 5, non solo in ragione dell’interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata del privilegio (prospettata nel primo motivo di gravame). ma anche in base alla stessa interpretazione letterale – seppure in senso estensivo – del dato normativo. La Corte d’Appello avrebbe, per converso, erroneamente applicato l’art. 12 preleggi, ove ha limitato l’espressione “finanziamenti” alle sole “erogazioni dirette in denaro”.

Diversamente, dovendosi intendere, il termine utilizzato nell’art. 9, comma 5, in senso ampio e, dunque, ricomprendente tutte le tipologie di intervento di cui al decreto, compresa la garanzia di firma prestata da SACE. A sostegno della propria tesi, la ricorrente rileva che la nozione di “finanziamento” non può essere interpretata nel senso restrittivo fatto arbitrariamente proprio dal giudice di secondo grado in quanto a ciò osterebbe, in primo luogo, l’assenza all’interno del D.Lgs. n. 123 del 1998 di una distinzione tra “finanziamenti diretti” e “finanziamenti indiretti”, tant’è che entrambe le tipologie di finanziamento sarebbero soggette alla medesima disciplina. In secondo luogo, rileva che la nozione di finanziamento desumibile dall’ordinamento nel suo complesso sarebbe ben più estesa rispetto a quella fatta propria dalla Corte d’Appello e, come tale, atta a ricomprendere forme di sovvenzionamento diverse ed eterogenee rispetto alla dazione diretta di denaro. A tal proposito, evidenzia il contrasto tra l’interpretazione fornita dalla sentenza impugnata e la vigente legislazione bancaria, sia primaria (T.U.B.) che come integrata dalla regolamentazione secondaria di settore (D.M. Economia e Finanze n. 53 del 2015).

3. Con il terzo motivo si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione ed errata interpretazione del combinato disposto dell’art. 2745 c.c. e D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, comma 5. La ricorrente ritiene erronea l’applicazione dell’art. 2745 c.c., operata dalla Corte d’Appello che avrebbe escluso l’applicazione del privilegio sul presupposto che la disposizione in parola, introducendo nell’ordinamento il principio di tipicità e tassatività dei privilegi, impedisca di estendere analogicamente il D.Lgs. n. 123, art. 9, comma 5, agli interventi, quali le garanzie, non rientranti nel suo ambito applicativo. Tuttavia, secondo la ricorrente, accordare al credito maturato natura privilegiata, non comporterebbe la violazione dell’art. 2745 c.c., in quanto non si tratta di applicare analogicamente l’art. 9, comma 5, ad una fattispecie – quale la garanzia in concreto prestata – non rientrante nella portata della norma (dunque, in violazione della norma codicistica) ma, piuttosto, di interpretare estensivamente la norma de qua.

4. I primi tre motivi del ricorso vanno esaminati in modo congiunto, in ragione della loro complementarietà.

4.1. Essi si dimostrano fondati. Invero, questa Corte (Cass., Sez. L. sentenza n. 2664 del 30/1/2019). in un caso analogo ha di recente statuito che il privilegio previsto dal D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, comma 5, sia riferito a tutti i benefici di cui all’art. 7 del decreto medesimo e, in particolare, anche ai crediti derivanti dalle “concessioni di garanzia” previsti da tale norma, e non esclusivamente ai soli casi di “erogazione diretta di denaro”.

4.2. Preliminarmente, occorre precisare che non può revocarsi in dubbio il consolidato principio secondo cui le norme che disciplinano i privilegi hanno carattere eccezionale e, in quanto tali, non sono suscettibili di interpretazione analogica (ex plurimis, Cass. Sez. 1, sentenza n. 5297 del 5/3/2009: Cass. n. 1946 del 10 febbraio 2003; Cass., Sez. 1, sentenza n. 9763 del 15/9/1995). D’altro canto, la previsione di qualsiasi privilegio ha diretti riflessi sul principio generale della par conditio creditorum (cfr., in specie, l’art. 2741 c.c.). da ciò conseguendo la necessità di una interpretazione restrittiva delle norme che regolano la materia. Tuttavia, le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo affermato che: “Le norme del codice civile che stabiliscono i privilegi in favore di determinati crediti possono essere oggetto di interpretazione estensiva, la quale costituisce il risultato di un’operazione logica diretta ad individuare il reale significato e la portata effettiva della norma, che permette di determinare il suo esatto ambito di operatività, anche oltre il limite apparentemente segnato dalla sua formulazione testuale e di identificare l’effettivo valore semantico della disposizione, tenendo conto dell’intenzione del legislatore e, soprattutto, della causa del credito” (Cass., Sez. U., sentenza n. 11930 del 17/5/2010; in senso conforme, Cass., Sez. 1, sentenza n. 17087 del 12/8/2016; Cass., Sez. 1, sentenza n. 8869 del 16/4/2014: Cass., Sez. L, sentenza n. 17202 dell’11/8/2011. Peraltro, già in precedenza, l’assunto aveva trovato il supporto della Corte costituzionale, nelle pronunce nn. 1/1998 e 84/1992). Infatti, secondo il principio rinvenibile ex art. 2745 c.c., il privilegio trova comunque fonte nella legge, in ragione della peculiare – causa” che lo giustifica, ossia per il fatto che l’ordinamento – in conformità ai valori espressi dalla Costituzione – ritiene una data ragione di credito come portatrice di interessi meritevoli di tutela. Sulla base di tali premesse, la recente sentenza di questa Corte (id est: Cass. sez. 1, n. 2664 del 2019, cit.) ha ritenuto di annoverare, tra gli interventi coperti dal privilegio D.Lgs. n. 123 del 1998, ex art. 9, comma 5, anche la concessione di garanzia da parte di SACE. in particolare per due ordini di ragioni che vanno condivisi.

4.3. In primo luogo. il D.Lgs. n. 123 del 1998, non detta una definizione del termine “finanziamento”. E, in aggiunta, nel quadro complessivo del nostro ordinamento l’espressione non assume un significato costante tale da potersi legittimamente ritenere che con essa si faccia esclusivo riferimento alla “erogazione diretta in denaro”. Al riguardo, in linea con quanto rilevato nel precedente di questa Corte, si individuano alcune disposizioni sintomatiche. Tra di esse, l’art. 47 del T.U.B. (rubricata “Finanziamenti agevolati e gestione di fondi pubblici”) dispone che “tutte le banche possono erogare finanziamenti o prestare servizi previsti dalle vigenti leggi di agevolazione, purchè essi siano regolati da contratto con l’amministrazione pubblica competente e rientrino tra le attività che le banche possono svolgere in via ordinaria”. A fianco di quella data dalle “operazioni di prestito” (e a fianco pure di una ulteriore e nutrita serie di attività, di diversa tipologia e struttura), tra queste attività ordinarie di finanziamento compare anche quella costituita dal “rilascio di garanzie e di impegni di firma” (art. 1, comma 2, lett. f) del Testo Unico): o, ancora, il “finanziamento destinato a uno specifico affare” di cui all’art. 2447 decies c.c., nel cui alveo la dottrina pacificamente ricomprende, oltre ai contratti di credito, le strutture negoziali di stampo partecipativo (dal cd. mutuo parziario all’associazione in partecipazione alla cointeressenza) e pure le operazioni di finanza strutturata (quali quelle di cartolarizzazione e quelle di leveraged). A tal fine rileva altresì l’art. 106, comma l, T.U.B.: nel lungo elenco di operazioni, con cui la normativa secondaria dà corpo al lemma “finanziamento” di cui alla legge, tra le altre compaiono le operazioni di -rilascio di garanzie”, di “acquisto di crediti a titolo oneroso”, di “apertura di credito documentaria”. di “avallo” e “girata” (cfr. D.M. n. 53 del 2015, art. 2). Anche il “finanziamento” richiamato dall’art. 2467 c.c. (sui “finanziamenti dei soci” nelle s.r.l.), d’altra parte, è comunemente ritenuto termine idoneo a ricomprendere – tra le altre “agevolazioni finanziarie” – pure le prestazioni di garanzia. Non diversamente avviene, poi, quanto ai “finanziamenti” presi in considerazione dalla L. Fall., art. 182 quater.

4.4. In secondo luogo, le diverse forme di intervento pubblico di sostegno alle attività produttive individuate dal D.Lgs. n. 123 del 1998 (e descritte dall’art. 7) appaiono espressione di un disegno di impianto unitario, sicchè con specifico riferimento al tema del privilegio di cui all’art. 9, comma 5, che qui viene in peculiare rilievo, non sembrano profilarsi ragioni giustificatrici di trattamenti normativi differenziati a seconda delle diverse forme di intervento previste, aventi la medesima finalità di sostegno economico. In tutti i casi in cui divenga operativo il sistema di “revoca” e “restituzione” previsto dalla norma dell’art. 9, infatti, si tratta comunque di riassorbire, di “recuperare” il sacrificio patrimoniale che il sostegno pubblico ha in concreto sopportato in funzione dello “sviluppo delle attività produttive” (cfr. Cass., n. Sez. I -, Ordinanza n. 21841 del 20/09/2017); in tutti i casi si tratta, in pari tempo, di procurare la provvista per lo svolgimento di ulteriori e futuri sostegni allo sviluppo delle attività produttive, secondo quanto significativamente dispone del medesimo art. 9, comma 6 (“le somme restituite ai sensi del comma 4 sono versate all’entrata del bilancio dello Stato per incrementare la disponibilità di cui all’art. 10, comma 2”; l’importanza di questa disposizione si trova segnalata dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr., oltre alla già citata Cass., n. 17111/2015, Cass., 20 aprile 2018, n. 9926). Pertanto, l’intervento di sostegno a mezzo di garanzia personale sembra proporre, per qualità, una tipologia di rischio imprenditoriale non diversa da quella propriamente portata dalla concessione dei mutui o comunque dalle erogazioni dirette di somme all’impresa beneficiaria della protezione accordata dalla legge in discorso, con obbligo di restituzione delle somme medesime. Non propone differenze di rilevante sostanza la diversa conformazione strutturale delle due fattispecie, posto che l’assunzione di un impegno diretto da parte del garante nei confronti del terzo viene a determinare una posizione di rischio omologa a quello della consegna diretta delle somme nelle mani del mutuatario.

4.5. Dunque, la “causa” – espressamente richiesta dall’art. 2745 c.c., per accordare un privilegio – ex art. 9, comma 5, trova la sua ratio nel “sostegno pubblico” che viene dato alle attività produttive. Ratio condivisa anche dalle “concessioni di garanzia”. D’altro canto, le prestazioni di crediti di firma sono portatrici di una tipologia di rischio imprenditoriale non diversa da quella propria delle concessioni di mutui o, comunque, delle erogazioni dirette di somme all’impresa beneficiaria della protezione accordata dal D.Lgs. n. 123 del 1998.

4.6. Non sussistono, in definitiva, ragioni valide per escludere dal novero degli interventi coperti dal privilegio ex art. 9, comma 5, gli interventi di garanzia assentiti da SACE, altrimenti incorrendo in una ingiustificata disparità di trattamento. Ciò, peraltro, è in linea con quanto rilevato dal Giudice delle Leggi che evidenzia come una irragionevole disparità di trattamento tra crediti aventi cause omogenee può dar luogo a giudizio di incostituzionalità. Infatti, “Lo scrutinio di costituzionalità è consentito all’interno di una specifica norma attributiva di privilegio su un credito, al fine di sindacare la ragionevolezza della mancata inclusione, in essa, di fattispecie omogenee rispetto a quella cui la causa di prelazione è riferita” (C.Cost., 29 gennaio 1998. n. 1).

4.7. Tanto rilevato, deve concludersi per la fondatezza dei primi tre motivi di ricorso, anche con riferimento a un’interpretazione costituzionalmente orientata.

5. Con il quarto ed ultimo motivo, si censura – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9 e L. Fall., art. 168, comma 3. La ricorrente contesta la decisione impugnata nella parte in cui ha affermato che il privilegio invocato da SACE sarebbe, in ogni caso, sorto successivamente all’apertura della procedura concordataria e, come tale, sarebbe inopponibile alla stessa, in forza di quanto disposto dalla L. Fall., art. 168, comma 3. A sostegno della propria tesi, SACE afferma che il credito nasce ex lege privilegiato e, dunque, non rileva se la revoca sia intervenuta prima o dopo l’apertura della procedura concorsuale.

5.1. Il motivo è fondato. In relazione alla genesi del privilegio D.Lgs. n. 123 del 1998, ex art. 9, comma 5, questa Corte, nel precedente più volte citato (Cass., Sez. 1, sentenza n. 2664 del 30/1/2019), ha sancito che il credito di SACE nasce come privilegiato ex lege dal momento in cui viene prestata la garanzia. Già in quell’occasione si è rilevato che, secondo l’orientamento nettamente dominante della giurisprudenza di legittimità, rispetto alla normativa di cui all’art. 9 del D.Lgs. in discussione, l’Amministrazione, nel revocare il contributo già accordato ovvero nel dichiarare la decadenza del soggetto beneficiario, non compie alcuna valutazione discrezionale; piuttosto, si limita ad “accertare il venir meno di un presupposto già previsto in modo puntuale dalla legge”, senza che l’atto di revoca abbia a possedere una qualche valenza costitutiva. Di conseguenza, la revoca del contributo resta opponibile alla massa anche se intervenuta dopo la pubblicazione della sentenza di fallimento dell’impresa beneficiaria (cfr., su questi punti. Cass. SS.UU., 20 luglio 2011, n. 15867; Cass., 3 luglio 2015. n. 13763; 20 Cass., 12 maggio 2017, n. 11928: Cass., 31 maggio 2017, n. 13751; Cass., 26 febbraio 2018, n. 4510; Cass., 23 maggio 2018. n. 12853 (…). Pertanto, diversamente da quanto ritenuto, non può essere ritenuta “vicenda fotocopia a quella in esame” la fattispecie esaminata da Cass., n. 25640/2017, posto che quest’ultima pronuncia concerne una fattispecie in cui era stata presentata – e accolta – una domanda di ammissione in chirografo e, in tempi successivi, una ulteriore e nuova domanda in privilegio, mentre nel caso in questione la domanda di ammissione al privilegio, in quanto respinta, è oggetto del presente accertamento. Infatti, se il “credito di firma” prestato da SACE ha natura privilegiata in forza della medesima “causa del credito” che condivide con gli altri interventi D.Lgs. n. 123 del 1998, ex art. 7 – che, nello specifico, è sostegno pubblico” per lo sviluppo delle attività produttive ex art. 1 del D.Lgs. – tale causa non sorge all’atto di revoca del beneficio, ma nel momento stesso della sua concessione ed erogazione.

5.2. In sostanza, la peculiare natura del credito, proveniente da fondi pubblici, impone di considerare il procedimento di erogazione del contributo come il presupposto del privilegio. Dovendosi, di conseguenza, intendere la revoca del contributo – cui fa espresso riferimento l’art. 9 – non come momento genetico del privilegio, ma come condizione affinchè SACE possa agire per il recupero del proprio credito, di contro da qualificarsi come privilegiato sin dalla sua nascita.

6. Conclusivamente, il ricorso va accolto con rinvio alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche per le spese.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 28 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2020