Nel sistema della legge fallimentare l’art. 108, secondo comma, prevede il potere purgativo del giudice delegato in stretta ed esclusiva consonanza con l’espletamento della liquidazione concorsuale dell’attivo disciplinata nella Sezione II del Capo VI secondo le alternative indicate nell’art. 107, perché in essa il curatore esercita la funzione di legge secondo il parametro di legalità dettato nell’interesse esclusivo del ceto creditorio mediante gli appositi procedimenti destinati al fine; mentre è da escludere che la norma possa essere applicata – e il potere purgativo esercitato dal giudice delegato – nei diversi casi in cui il curatore agisca nell’ambito dell’art. 72, ultimo comma, legge fall. quale semplice sostituto del fallito, nell’adempimento di obblighi contrattuali da questo assunti con un preliminare di vendita. ( Cassazione civile sez. un., 19/03/2024, n.7337 )

FATTI DI CAUSA

La Leviticus SPV Srl propose reclamo contro il decreto col quale il giudice delegato al fallimento de Gli Artigiani soc. coop. edilizia in liquidazione, dopo aver autorizzato il curatore a subentrare in un contratto preliminare di assegnazione in proprietà della porzione di un immobile a un socio, De.Lu., aveva disposto la cancellazione dei gravami insistenti sul bene. Tra i detti gravami era compresa un’ipoteca iscritta in data 30-10-2006 a favore della Banca popolare di Milano, la quale prima del fallimento aveva promosso l’azione esecutiva a mezzo di pignoramento trascritto il 17-7-2018. La Leviticus si era resa cessionaria del credito garantito.

Nel proporre il reclamo la cessionaria evidenzio che il contratto preliminare era stato trascritto in data anteriore al fallimento e che il prezzo dovuto dal promissario acquirente era stato già interamente versato alla società cooperativa, sempre in epoca anteriore alla sentenza dichiarativa. Sostenne che alla fattispecie non fosse applicabile l’art. 108, secondo comma, legge fall., essendosi trattato di un mero subentro ex lege del curatore nel contratto preliminare (trascritto) di un immobile destinato a costituire abitazione principale dell’acquirente, e quindi non di una vendita forzata bensì di un atto consequenziale al preliminare, di natura totalmente privatistica.

L’adito tribunale di Monza ha respinto il reclamo, e per motivare la decisione ha osservato che secondo l’orientamento evinto da una sentenza di questa Corte (Cass. Sez. 1 n. 3310-17) la vendita ex art. 72, ultimo comma, legge fall., sebbene attuata con forme privatistiche, rimane una vendita fallimentare. E questo perché la vendita avviene comunque coattivamente, ossia a prescindere dalla volontà del titolare del diritto sul bene (l’impresa fallita), e all’interno di un procedimento di liquidazione concorsuale mediante un atto del curatore, soggetto rappresentante la massa dei creditori e lo stesso fallito.

Richiamando un conforme indirizzo di merito, il tribunale di Monza ha evidenziato che l’unica differenza rispetto agli altri atti di liquidazione fallimentare risiede, in tal caso, nel fatto che la scelta su come liquidare il bene è compiuta direttamente dal legislatore. Il quale ha inteso accordare al promissario acquirente della casa di abitazione una tutela privilegiata, facendo prevalere il suo diritto alla stipula del contratto definitivo sul diritto alla migliore soddisfazione economica delle ragioni del creditore ipotecario. Sicché invece l’accoglimento della diversa tesi della società reclamante avrebbe determinato un’abrogazione di fatto della tutela riconosciuta dall’art. 72 legge fall.

Il tribunale ha infine ritenuto non ostativo il diverso principio espresso da altra più recente decisione di questa Corte (Cass. Sez. 1 n. 23139-20), in quanto relativo alla fattispecie del concordato, e ha richiamato a ulteriore supporto della propria tesi la disciplina introdotta dall’art. 173, quarto comma, del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (breviter CCII), per la quale spetta al giudice delegato la potestà di cancellare, per l’appunto, le ipoteche gravanti sull’immobile venduto al promissario acquirente dal curatore subentrato nel contratto preliminare salva l’inopponibilità della metà degli acconti già versati.

La Leviticus SPV, tramite la mandataria CF Liberty Servicing Spa, ha proposto ricorso per cassazione contro il decreto del tribunale di Monza, deducendo un solo motivo.

Il Fallimento e il De.Lu. hanno resistito con distinti controricorsi.

Le parti hanno depositato memorie.

La causa è stata chiamata in adunanza camerale dinanzi alla Prima sezione civile.

La Prima sezione, con ordinanza interlocutoria n. 16166 del 2023, dopo aver ritenuto il ricorso ammissibile perché proposto contro un provvedimento di natura decisoria in tema di cancellazione delle ipoteche, ai sensi dell’art. 108, secondo comma, legge fall. (v. già Cass. Sez. 1 n. 30454-19, Cass. Sez. 1 n. 3310-17), ha disposto la rimessione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Ha rilevato che si è dinanzi a una questione di massima di particolare importanza, molto dibattuta e oggetto di contrasto, integrata dall’interrogativo se l’art. 108, secondo comma, legge fall. sia o meno applicabile anche alla vendita attuata non all’esito di una procedura competitiva pubblicizzata e svoltasi sulla base di valori di stima, ma in forma contrattuale, in adempimento di un contratto preliminare in cui il curatore sia subentrato ex lege in applicazione del disposto dell’art. 72, ottavo comma, stessa legge.

La Prima Presidente ha disposto in conformità.

Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE

I. – Con l’unico motivo la ricorrente, denunziando la violazione o falsa applicazione degli artt. 72 e 108 legge fall., anche in relazione agli artt. 2645-bis, 2808,2878 e 2882 cod. civ., assume errata la decisione del tribunale sotto entrambi i profili: (a) della qualificazione come vendita concorsuale del contratto definitivo concluso dal curatore in esecuzione del preliminare trascritto ex art. 72, ultimo comma, legge fall., ai fini dell’art. 108 stessa legge; (b) della presunta esistenza di una ragione di prevalenza del fine di tutela dei diritti del promissario acquirente rispetto ai diritti del creditore ipotecario, da tutelare mediante l’esercizio del potere di purgazione.

Dal primo punto di vista la ricorrente sottolinea che l’art. 108 legge fall. si inserisce nell’alveo della liquidazione dell’attivo, mentre la trascrizione del preliminare, per i conseguenti effetti prenotativi, esclude che in esito al definitivo il bene che ne forma oggetto entri a far parte della massa attiva concorsuale.

Dal secondo punto di vista segnala che la tutela del promissario acquirente rispetto ai diritti del creditore ipotecario rimane, nell’ordinamento, affidata alla pubblicità immobiliare e alla possibilità di conoscere le iscrizioni pregiudizievoli gravanti sul bene che egli intenda acquistare, mentre l’interpretazione condivisa dal tribunale di Monza avrebbe come conseguenza la soppressione sostanziale del diritto di sequela riconosciuto dall’art. 2808 cod. civ. al creditore ipotecario, cosa inammissibile in difetto di un’espressa previsione normativa. Invero il creditore si troverebbe a concorrere solo sulla frazione di prezzo dell’immobile eventualmente suscettibile di esser pagato dal promissario acquirente al curatore (cosa che peraltro nella specie è esclusa dall’avere il promissario integralmente pagato il prezzo prima del fallimento), e subirebbe la cancellazione fuori dalla disciplina dell’estinzione delle ipoteche prevista dagli artt. 2878 e 2882 cod. civ., non essendo l’esecuzione del contratto pendente equiparabile a un esproprio.

Secondo la ricorrente, non sarebbe possibile trarre conferma della bontà del ragionamento del tribunale dalla disciplina offerta al riguardo dal CCII (art. 173, quarto comma), poiché codesta ha introdotto una regola completamente innovativa di bilanciamento tra la tutela del promissario acquirente e quella del creditore ipotecario, a condizioni del tutto diverse e come tali inestensibili alla legge fallimentare.

II. – La questione controversa attiene al fatto se possa o meno considerarsi come vendita concorsuale, ai fini dell’art. 108 legge fall. e delle conseguenze da esso stabilite, la modalità dell’alienazione che si realizza in esito al subentro ex lege del curatore fallimentare nel contratto preliminare di vendita di un immobile da adibire ad abitazione principale del promissario, trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis cod. civ.; o, il che è lo stesso, del contratto preliminare di assegnazione del bene al socio di una cooperativa edilizia.

III. – L’art. 108, secondo comma, legge fall., quanto ai beni immobili (e agli altri beni iscritti in pubblici registri), prevede – all’esito del D.Lgs. n. 5 del 2006 e poi del D.Lgs. n. 169 del 2007 – che “una volta eseguita la vendita e riscosso interamente il prezzo, il giudice delegato ordina, con decreto, la cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo”.

Nella visione del tribunale di Monza questa norma – sebbene inserita tra quelle relative (all’esercizio provvisorio e) alla liquidazione dell’attivo – andrebbe coniugata con la disciplina degli effetti del fallimento sui rapporti pendenti.

Per i rapporti pendenti l’art. 72 legge fall. stabilisce, al primo comma, la regola generale secondo cui “se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti quando, nei confronti di una di esse, è dichiarato il fallimento, l’esecuzione del contratto, fatte salve le diverse disposizioni della presente Sezione, rimane sospesa fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi medesimo, salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto”. Come poi precisato dal terzo comma, la previsione si applica anche al contratto preliminare di vendita immobiliare, fatto salvo quanto previsto nell’art. 72-bis per i contratti relativi a immobili da costruire.

Per la vendita immobiliare soccorre inoltre – in generale – il settimo comma dell’art. 72, il quale prevede che, ove a fronte di un preliminare trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis cod. civ. vi sia stato lo scioglimento da parte del curatore, “l’acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo, senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno e gode del privilegio di cui all’articolo 2775-bis del codice civile a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siano cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento.”.

È bene rammentare a tal riguardo che questa Corte ha chiarito che l’afferente privilegio speciale sul bene immobile, che assiste ai sensi dell’art. 2775-bis cod. civ. i crediti del promissario acquirente conseguenti alla mancata esecuzione del contratto preliminare trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis cod. civ., essendo subordinato a una particolare forma di pubblicità costitutiva (come previsto dall’ultima parte dell’art. 2745 cod. civ.), resta sottratto alla regola generale di prevalenza del privilegio sull’ipoteca, sancita, se non diversamente disposto, dal secondo comma dell’art. 2748 cod. civ., e soggiace agli ordinari principi in tema di pubblicità degli atti. Sicché, nel caso in cui il curatore del fallimento della società costruttrice dell’immobile scelga lo scioglimento del contratto preliminare (ai sensi dell’art. 72 della legge fall.), il conseguente credito del promissario acquirente per la restituzione di caparre o acconti, benché assistito da privilegio speciale, è collocato in grado inferiore rispetto a quello dell’istituto di credito che, precedentemente alla trascrizione del contratto preliminare, abbia iscritto sull’immobile stesso ipoteca a garanzia del finanziamento concesso alla società costruttrice (v. Cass. Sez. U n. 21045-09 e poi anche Cass. Sez. 1 n. 4195-12, Cass. Sez. 1 n. 17270-14, Cass. sez. 1 n. 17141-16).

In sostanza è principio fondamentale che in ipotesi di scioglimento dal contratto resta prevalente il diritto derivante dall’iscrizione ipotecaria.

IV. – Sempre sul piano della disciplina normativa il dato diverge nel caso del preliminare avente a oggetto un immobile per uso abitativo destinato a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado, ovvero un immobile per uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell’attività di impresa dell’acquirente stesso.

In questa situazione l’ultimo comma dell’art. 72 ha introdotto una deroga rispetto alla potestà del curatore di sciogliersi dal vincolo: “le disposizioni di cui al primo comma non si applicano al contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell’articolo 2645-bis del codice civile avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado ovvero un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell’attività di impresa dell’acquirente”.

È bene ribadire che la deroga non attiene (ovviamente) al meccanismo tipico del preliminare, ma solo alla dianzi citata (ordinaria) potestà di scioglimento dal contratto.

Come esattamente osservato dall’ordinanza interlocutoria, l’effetto che ne deriva è che il curatore, in presenza di un contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis cod. civ., avente a oggetto un immobile con la destinazione suddetta, non ha possibilità di scegliere se subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendosi tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo. Egli succede necessariamente nel contratto, ex lege, e quindi è tenuto a darvi esecuzione.

V. – Da qui il problema se, considerata l’esistenza di un simile obbligo di legge, possa dirsi che l’alienazione effettuata in questi casi dal curatore fallimentare sia tale da rientrare essa stessa – ancora ex lege – nell’ambito dell’attività liquidatoria: di quell’attività, cioè, che il curatore è tenuto a compiere nel corso della procedura concorsuale.

La risposta affermativa si basa sul rilievo che la vendita fatta dal curatore è da considerare come tale anche se non effettuata secondo le regole della esecuzione concorsuale, o (come dice l’ordinanza interlocutoria) a mezzo di procedure competitive.

VI. – Il tema è stato fin qui variamente considerato nelle sedi di merito, in adesione ora all’una ora all’altra delle possibili soluzioni.

Su di esso si è registrato un contrasto anche nella giurisprudenza di questa Corte, contrasto che per vero non ha risparmiato neppure la dottrina a valle della considerazione in ordine alla ratio di favore che governa l’art. 72, ultimo comma, legge fall.

Si allude al fatto che con l’art. 72, ultimo comma, la legge fallimentare ha inteso accordare una tutela rafforzata – in forma specifica – al diritto alla proprietà del bene destinato alla prima abitazione del promissario acquirente che abbia trascritto il preliminare prima del fallimento; sicché il diritto del promissario sarebbe per tale ragione assoggettabile a una regolazione indiretta in ambito concorsuale.

Un orientamento di tal genere è quello fatto proprio dal tribunale di Monza.

La premessa di tale orientamento è che sono da qualificare come vendite concorsuali quelle che, comunque attuate, possiedono natura coattiva perché avvengono invito domino in un ambito procedimentalizzato.

Anche queste vendite sarebbero soggette all’efficacia purgativa.

In particolare, la vendita immobiliare fatta in esecuzione di un preliminare stipulato dal fallito e previamente trascritto diventerebbe vendita concorsuale, ai fini dell’art. 108 legge fall., perché disposta dal curatore fallimentare con la autorizzazione del comitato dei creditori.

Nella prospettiva così – appunto – “procedimentalizza”, essa stessa parteciperebbe dell’ambito dell’attività liquidatoria che il curatore è tenuto a compiere nel corso della procedura concorsuale, anche se concretizzata al di fuori delle regole di cui alla Sezione II (“Della vendita dei beni”) alle quali, come detto all’inizio, la norma si riferisce.

L’indirizzo interpretativo ha trovato avallo nella sentenza della Prima sezione di questa Corte citata sia dal tribunale di Monza che dall’ordinanza interlocutoria.

La sentenza ha affermato il principio secondo cui, in tema di vendita fallimentare, anche se attuata nelle forme contrattuali e non tramite esecuzione coattiva, trova applicazione l’art. 108, secondo comma, legge fall., con la conseguente cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione a opera del giudice delegato e ammissione del creditore ipotecario al concorso, con rango privilegiato, sull’intero prezzo pagato, ivi compreso l’acconto eventualmente versato al venditore ancora in bonis (Cass. Sez. 1 n. 3320-17).

L’indirizzo che si riallaccia a tale orientamento segnala che non si giustificherebbe altrimenti la rilevanza assunta dal bene protetto – e cioè la casa di abitazione – quale fondamento dell’introduzione dell’ultimo comma dell’art. 72 cit.

VII. – A questa tesi si è contrapposta quella per cui, invece, il risultato al quale tende l’art. 108, secondo comma, legge fall. non è concepibile al di fuori di una procedura coattiva aperta al mercato e finalizzata al realizzo dell’intero (e anzi del migliore) prezzo di vendita del bene acquisito all’attivo.

Ciò sarebbe in certa misura presupposto dalla norma, per essere codesta riferibile al profilo di necessaria competizione nell’ambito di una procedura pubblica di dismissione dei beni. La quale procedura pubblica dovrebbe sempre muovere da un prezzo di stima e favorire la massima informazione e partecipazione di tutti i soggetti interessati, al fine di assicurare il conseguimento del maggior risultato possibile e con esso la miglior soddisfazione dei creditori.

In tale diversa prospettiva, alla quale si riferisce l’ordinanza interlocutoria, la base di riferimento delle vendite fallimentari sarebbe dunque solo quella delineata dalla norma sulla vendita propriamente procedimentalizzata, e solo in tal guisa si giustificherebbe l’effetto purgativo.

Espressione di simile differente criterio di giudizio è l’ordinanza della Prima sezione n. 23139-20 che, sebbene in tema di concordato preventivo con continuità aziendale, ha affermato che l’assegnazione dell’immobile al socio di una cooperativa, che avvenga in esecuzione di un piano gestionale teso all’ultimazione degli alloggi rimasti incompiuti, non può essere accompagnata dalla cancellazione ex art. 108 legge fall. delle iscrizioni pregiudizievoli, dal momento che i detti effetti purgativi si giustificano solo qualora la vendita si compia in esito a una procedura competitiva a evidenza pubblica secondo le regole di cui agli artt. 105 e ss. legge fall. richiamate dall’art. 182, quinto comma, legge fall., non anche quando essa sia il frutto della continuazione dell’attività di impresa.

VIII. – Occorre dire che vanamente il tribunale di Monza, da un lato, e parte della dottrina dall’altro, hanno tentato di sminuire la rilevanza di codesto precedente in esito alla citata ultima frase (“non anche quando essa sia il frutto della continuazione dell’attività di impresa”).

Si è detto che quel precedente è relativo alla liquidazione condotta in sede concordataria e in relazione alla prevista continuità aziendale (e v. peraltro anche Cass. Sez. 1 n. 30454-19); quindi vale solo per essa.

Può osservarsi che non è dubbio che il principio di diritto enunciato da Cass. Sez. 1 n. 23139-20 attenga alla situazione del concordato in continuità aziendale, il quale è istituto orientato alla prosecuzione dell’attività d’impresa a opera di chi, essendone titolare, non abbia subito lo spossessamento.

Ma è evidente che non da ciò può giustificarsi la convivenza del diversamente argomentato margine di valutazione reso da quel precedente a proposito della operatività della regola di cui all’art. 108, secondo comma, legge fall., attesa l’analogia di disciplina dettata per le modalità della cessione dei beni nel concordato dall’art. 182 legge fall. (nel rinvio agli artt. da 105 a 108-ter stessa legge).

Del resto, anche l’ordinanza interlocutoria n. 16166-23 mostra di non voler ribadire l’indirizzo assunto con la sentenza n. 3310 del 2017.

Per cui è innegabile che il contrasto di giurisprudenza sussiste in modo netto presso questa Corte a proposito della coordinazione dei principi fondamentali in materia.

E in ogni caso la questione di massima è indubbiamente di particolare importanza.

IX. – Il contrasto va risolto affermando il principio per cui nel sistema della legge fallimentare l’art. 108, secondo comma, prevede il potere purgativo del giudice delegato in stretta ed esclusiva consonanza con l’espletamento della liquidazione concorsuale dell’attivo disciplinata nella Sezione II del Capo VI secondo le alternative indicate nell’art. 107, perché in essa il curatore esercita la funzione di legge secondo il parametro di legalità dettato nell’interesse esclusivo del ceto creditorio mediante gli appositi procedimenti destinati al fine; mentre è da escludere che la norma possa essere applicata – e il potere purgativo esercitato dal giudice delegato – nei diversi casi in cui il curatore agisca nell’ambito dell’art. 72, ultimo comma, legge fall. quale semplice sostituto del fallito, nell’adempimento di obblighi contrattuali da questo assunti con un preliminare di vendita.

X. – È necessario partire dalla considerazione che quanto previsto dall’art. 108, secondo comma, legge fall. trae diretto fondamento dalla funzione liquidatoria della vendita espropriativa, esattamente come accade per l’esecuzione individuale con l’art. 586 cod. proc. civ.

Ciò costituisce riflesso della natura giuridica della vendita fallimentare secondo un modello acquisito già prima della riforma.

Nel vigore del testo antecedente al D.Lgs. n. 5 del 2006 la cosa era agevolmente desunta dall’art. 105 legge fall., il cui senso onnicomprensivo risaltava per l’espresso richiamo alle norme del codice di procedura civile, base dell’inquadramento delle vendite fallimentari nell’ambito delle vendite giudiziali o, come anche si dice, forzate.

In coerenza con tale inquadramento, era acquisito il principio secondo cui nella procedura fallimentare l’alienazione degli immobili non potesse avvenire che nelle forme della vendita forzata, con o senza incanto, culminante nel decreto di trasferimento, senza alcuna possibilità di una vendita a trattativa privata. E quindi che l’art. 108 legge fall. non consentisse mai la vendita di un bene immobile a trattativa privata, ma solo – si diceva comunemente – l’alienazione nelle forme della vendita forzata, con o senza incanto, che si concludono col decreto di trasferimento del bene. Era in vero considerato illegittimo il provvedimento del giudice delegato che autorizzasse una vendita non pienamente corrispondente a uno dei due tipi, con o senza incanto, espressamente previsti e disciplinati (ex multis Cass. Sez. 1 n. 575193, Cass. Sez. 1 n. 3624-04, Cass. Sez. 1 n. 26954-16, Cass. Sez. 1 n. 11464-17).

XI. – È da puntualizzare che, prima della riforma attuata col D.Lgs. n. 5 del 2006 e completata col D.Lgs. n. 169 del 2007, la natura propriamente esecutiva delle vendite era un dato acquisito anche rispetto al concordato previdente la cessione dei beni, tanto da aver costituito elemento di comparazione per l’esegesi delle norme afferenti seppur declinate in relazione ai poteri del commissario.

In relazione alle vecchie norme le Sezioni Unite di questa Corte ne hanno precisato il senso rispondendo affermativamente al quesito se sia o meno possibile assoggettare a ricorso straordinario per cassazione il provvedimento con cui il tribunale abbia accolto o rigettato un reclamo proposto contro il decreto emesso dal giudice delegato in tema di vendita dei beni del debitore nella fase esecutiva del concordato preventivo con cessione.

Netta è stata l’affermazione che anche nel procedimento liquidatorio dei beni del debitore, per quanto avente in ambito concordatario un fondamento originario di natura negoziale, la vendita deve dirsi sottesa da una finalità satisfattoria dei creditori del tutto analoga a quelle della procedura esecutiva fallimentare, tanto da muoversi in un ambito di controlli pubblici del pari destinati a garantire il raggiungimento di tale finalità.

Anche la fase esecutiva del concordato per cessione dei beni – è stato precisato – deve considerarsi riconducibile “a una più vasta categoria di procedimenti di esecuzione forzata (in senso lato) al pari della procedura fallimentare”, tanto che pure la liquidazione concordataria, proprio come quella fallimentare, risulta disciplinata “da rigorose disposizioni sul cui rispetto gli organi della procedura sono chiamati a vigilare” (Cass. Sez. U n. 19506-08).

Questa correlazione è suscettibile di essere mantenuta anche dopo la riforma del diritto concorsuale del 2006-2007.

Già nella sentenza citata è stato invero rimarcato che nel contesto della riforma “nulla suggerisce che il legislatore abbia inteso modificare la natura e le caratteristiche essenziali della procedura di concordato -e tanto meno far perdere ad essa i suoi connotati originariamente negoziali in favore di un impianto pubblicistico prima non configurabile”. E al tempo stesso è stato convincentemente segnalato il carattere confermativo di una tale conclusione nelle pertinenti norme dovute al D.Lgs. n. 169 del 2007, giacché pure in queste è stato oggettivato l’accostamento delle funzioni del liquidatore concordatario a quelle del curatore del fallimento.

In sostanza, e in relazione al tema che qui rileva, la riforma del diritto concorsuale del 2006-2007 si è mossa – sia per il concordato che per il fallimento – nel solco di un medesimo schema procedimentalizzato. Per riprendere le parole della citata sentenza delle Sezioni Unite, nel prescrivere che alla vendita dei beni oggetto della cessione ai creditori si debbano applicare (sia pure con la clausola della compatibilità) le disposizioni della stessa legge fall., art. 105 e seg., ivi compreso l’art. 107 in ordine alle modalità attuative, la nuova disciplina rafforza la convinzione “che la liquidazione concordataria sia, proprio come quella fallimentare, disciplinata da rigorose disposizioni sul cui rispetto gli organi della procedura sono chiamati a vigilare” (così testualmente Cass. Sez. U n. 19506-08). E tali rigorose disposizioni, senza modificare la natura e le caratteristiche essenziali della procedura di concordato, confermano la preesistente assimilabilità tra la fase esecutiva del concordato per cessione dei beni del debitore (pur con la sua origine negoziale e con le sue ovvie peculiarità) e “il procedimento di vendita coatta di detti beni” sotteso dalla vendita fallimentare propriamente intesa.

XII. – Una duplice conseguenza è possibile trarre dal sintetizzato percorso giurisprudenziale: se da un lato l’applicazione dell’art. 108 legge fall. presuppone la cd. vendita fallimentare, dall’altro l’elemento centrale di una tale vendita è ravvisabile nella natura esecutiva (e procedimentale) della vendita coattiva (forzata); cosa data per acquisita dalla ripetuta sentenza n. 19506-08 delle Sezioni Unite al punto da farne un elemento di comparazione idoneo a coordinare (alla sua stessa stregua) le norme relative alla cessione dei beni nel concordato preventivo.

Un simile modello di ragionamento è stato contraddetto (soltanto) dalla ripetuta sentenza della Prima sezione n. 3310-17.

Codesta ha posto la base dell’estensione del concetto di vendita fallimentare oltre lo steccato delle modalità di cui all’art. 107, seppur richiamate (quelle modalità) anche per la vendita di aziende, di rami, di beni e di rapporti in blocco dall’art. 105, secondo comma, legge fall.

Tanto ha fatto riferendosi alla successiva e conseguente necessità di ammissione del creditore ipotecario al concorso, con rango privilegiato, “sull’intero prezzo pagato, ivi compreso l’acconto eventualmente versato” dal promissario acquirente.

Epperò senza che di tale e asseritamente consequenziale assunto sia individuabile un minimo riscontro sul piano normativo.

XIII. – Ora va detto che dopo la riforma del 2006-2007 l’art. 107 legge fall. disciplina le “Modalità delle vendite”, e lo fa mediante un ridimensionamento dei rinvii al processo esecutivo previsto dal codice di procedura civile.

Nel testo dell’art. 107 è oggi declinata una trama ripartibile in tre modalità di vendita, in nessuna delle quali rientra l’ipotesi (mera) della cessione per atto negoziale.

Le vendite e gli altri atti di liquidazione posti in essere in esecuzione del programma di liquidazione possono essere effettuate alternativamente (i) dal curatore, ma tramite procedure competitive, (ii) dal giudice delegato, secondo le disposizioni del codice di procedura civile in quanto compatibili, (iii) ancora secondo le disposizioni del codice di procedura civile ove il curatore decida di subentrare nelle procedure esecutive che siano pendenti alla data della dichiarazione di fallimento.

Per i fini del conseguente art. 108, la comune caratteristica delle vendite fallimentari non è stata messa in discussione nell’alveo della normativa riformata, nel senso che quanto ai provvedimenti purgativi il legislatore, anche dopo la riscrittura delle norme, ha mostrato di non voler dissociare i provvedimenti stessi dal tipo di vendita forzata presupposta, che è e resta una vendita procedimentalizzata.

E difatti nella Relazione ministeriale illustrativa si legge: “per ciò che riguarda le forme delle vendite ed i loro effetti, si è innovato molto e si è ritenuto di eliminare ogni rinvio alla disciplina del processo esecutivo individuale, fermo restando, comunque, il fondamentale effetto purgativo delle vendite forzate”.

In altre parole, la maggiore flessibilità dei parametri di riferimento non ha determinato effetti a proposito del presupposto di adozione del decreto del giudice delegato conseguente alla vendita e alla riscossione per intero del prezzo, tale essendo sempre la vendita esecutiva procedimentalizzata in funzione liquidatoria di cui alle alternative ipotesi disciplinate nell’art. 107, perché questa – e solo questa – è la “vendita forzata”.

XIV. – L’orientamento teso a ritenere l’estensione del potere del giudice delegato di ordinare la cancellazione delle ipoteche e degli altri vincoli al caso ulteriore (rispetto a quello sotteso al procedimento ex art. 107) della vendita effettuata dal curatore (subentrato ex lege) in adempimento del preliminare stipulato dal fallito muove da un profilo di similitudine.

Il profilo si assume rinvenibile in ciò: che l’atto di vendita (in adempimento del preliminare) sarebbe comunque posto in essere da un organo del fallimento, non proprietario del bene, né delegato a vendere dal proprietario. Donde si sarebbe in presenza di un soggetto (il curatore) che agisce mettendo in pratica un potere proprio, che gli deriva dal fallimento e che partecipa della natura del potere di liquidare il patrimonio, a prescindere dalla volontà del titolare del diritto di proprietà (il fallito).

Da questa constatazione trarrebbe forza la similitudine, perché -ancora si dice – quale che sia la forma con la quale l’alienazione si realizza, l’atto finale è pur sempre qualificabile come atto traslativo di un bene, e solo questo conta, poiché per riconoscere natura di vendita forzata alla vicenda traslativa di diritti rileva la natura del potere e non la forma del suo esercizio.

XV. – Questa conclusione così come il ragionamento che la sottende non possono essere condivisi.

La vendita effettuata dal curatore in adempimento del preliminare stipulato dal fallito non possiede natura coattiva, né funzione liquidatoria dell’attivo, neppure quando il preliminare abbia riguardato la casa di abitazione del promissario e sia stato trascritto prima del fallimento.

Nel caso disciplinato dall’art. 72, ultimo comma, legge fall. rileva il subentro del curatore nel contratto preliminare, al quale consegue (art. 72, primo comma) l’assunzione di “tutti i relativi obblighi”.

L’unica particolarità (rispetto alla disciplina del primo comma) è che il subentro, in questo caso, è obbligatorio per legge.

In tale evenienza il curatore è tenuto a eseguire la vendita; ed è tenuto anche a adempiere all’eventuale obbligazione accessoria di far conseguire il bene al promissario libero dalle ipoteche, obbligazione che sia stata assunta già dal promittente venditore.

Tutto questo, però, è l’effetto (ovvio) del subentro.

Non consente alcun accostamento con la vendita forzata perché nel caso dell’art. 72, ultimo comma, si rimane nell’ambito delle obbligazioni negoziali, anche a proposito della garanzia dell’evizione (art. 1483 cod. civ.).

Quella che legittima l’effetto purgativo discendente dall’art. 108 legge fall. è una cosa ben diversa.

Per codificare l’effetto purgativo e giungere al decreto del giudice delegato non basta l’obbligazione del curatore di stipulare una vendita come conseguenza del subentro (volontario o ex lege) in un anteriore obbligo assunto dal fallito in bonis, e neppure quella di garantire la liberazione del bene secondo la promessa fatta dal fallito medesimo.

Non basta perché l’art. 108 riguarda – in sé e per sé – la vendita esecutiva.

Codesta è la vera vendita forzata e non ogni vendita che avviene in ambito fallimentare può esser considerata tale.

L’incontestabilità di tale fatto è testimoniata dalla diversità di schema sotteso all’art. 72, ultimo comma, legge fall.

Per ripetere il concetto: (i) nel caso dell’art. 72, ultimo comma, legge fall. viene in risalto il mero subentro ex lege del curatore nel preliminare stipulato dal fallito; (ii) l’atto col quale è poi eseguita la vendita resta avvinto dalla ordinaria funzione di adempimento delle obbligazioni discendenti dal preliminare; (iii) per tale ragione la vendita non costituisce un atto esecutivo di liquidazione dell’attivo fallimentare, a prescindere dal fatto che il prezzo sia stato – come emblematicamente si dice essere accaduto nella specie – versato interamente o meno, e che il curatore, in luogo del fallito, possa ottenere a sua volta il pagamento di un residuo.

Invero nemmeno quando prima del fallimento il promissario acquirente abbia versato semplici acconti può dirsi sussistere, nella vendita negoziale fatta in esecuzione del contratto preliminare, una finalità propriamente liquidatoria dell’attivo concorsuale, perché la finalità vera è sempre quella di adempiere l’obbligo a contrarre.

La funzione liquidatoria esclude di contro il vincolo negoziale, essendo l’organo fallimentare astretto all’osservanza delle (sole) modalità procedimentali dettate per il legittimo esercizio del potere di realizzazione coattiva.

XVI. – Non può allora forzarsi il concetto di “procedimentalizzazione” della vendita in nome della maggiore elasticità del sistema delineato dagli attuali artt. 105 e seg. legge fall., così da farne un denominatore comune di una generica finalità liquidatoria.

La vendita procedimentalizzata è altra rispetto alla vendita negoziale semplicemente autorizzata dal comitato dei creditori.

La finalità liquidatoria non implica una procedimentalizzazione purchessia (del tipo di quella evincibile dall’eventuale necessità di previa autorizzazione del comitato dei creditori alla stipula di un contratto), ma la procedimentalizzazione dettata dall’art. 107 legge fall. in vista del miglior soddisfacimento delle ragioni creditorie.

Tale è la spiegazione del collegamento esistente tra l’art. 108 e l’art. 107 legge fall., anche considerando la natura necessariamente competitiva delle procedure tramite le quali deve avvenire la vendita ove non si ricorra alle alternative parimenti indicate nella norma.

Si rivela così inappropriato svilire il profilo formale della vendita forzata in nome di una presunta rilevanza dell’aspetto “sostanziale” del potere esercitato dall’organo del fallimento.

Ben vero nell’adempimento del preliminare, nel quale è subentrato, il curatore non esercita alcun potere.

A ogni modo, non si disconosce che l’art. 107 legge fall., nella riscrittura delle norme sulla vendita dei beni (art. 105 e seg.), abbia attuato il passaggio da una disciplina irrigidita dal rinvio alle norme del codice di procedura relative al processo esecutivo a una ispirata, invece, a maggiore elasticità.

Ma per quanto ciò sia vero, e per quanto la norma sia ispirata a un più elastico principio di libertà di forme, è evidente che tale libertà è perseguita alla condizione specificamente considerata, e cioè che “le vendite e gli altri atti di liquidazione posti in essere in esecuzione del programma di liquidazione” siano svolti dal curatore “tramite procedure competitive”.

In altre parole, è la procedura competitiva il limite intrinseco del pur canonizzato (nel nuovo testo dell’art. 107 legge fall.) principio di libertà delle forme (e v. infatti Cass. Sez. 1 n. 22383-19, Cass. Sez. 1 n. 21007-22).

Sicché, fatte salve le concorrenti previsioni del medesimo art. 107, l’elasticità esiste – certo – ma rimane confinata all’interno del concetto di competitività.

Questa nozione (la procedura competitiva) non è astretta a uno schema predefinito, ma ai fattori ritenuti essenziali allo scopo: la stima, la pubblicità, la possibilità di gara, quali presupposti inderogabili di trasparenza e correttezza anche a salvaguardia della parità fra gli offerenti (v. Cass. Sez. 1 n. 26076-22).

Ai fini dell’effetto purgativo è perciò necessario che la vendita sia stata attivata nel senso indicato dall’art. 107, perché questo rende la vendita declinabile in senso procedimentale come atto di liquidazione dell’attivo, per effetto della messa in esecuzione di un programma di liquidazione all’esito delle conseguenti possibilità offerte dalla norma.

E poiché in situazioni del genere può discorrersi di vendita procedimentalizzata, l’art. 108 coerentemente prevede che, “una volta riscosso interamente il prezzo”, il giudice delegato ordini, con suo decreto, la cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione e delle trascrizioni dei pignoramenti, dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo incidente sul bene.

XVII. – Se si tiene a mente tutto questo, è abbastanza chiaro che né la struttura giuridica del fenomeno, né la sua caratterizzazione funzionale, né l’attitudine a perseguire l’effetto pratico possono ragionevolmente confluire in un elemento di similitudine per l’ipotesi di semplice esecuzione di un contratto preliminare.

Un parallelismo del genere non è sostenibile nemmeno quando, per mero accidente, il prezzo di stipula indicato nel preliminare si riveli essere poi, in base alle peculiari condizioni di mercato, quello più vantaggioso.

La differenza resta radicale, perché il curatore, essendo la stipulazione del definitivo obbligatoria a seguito del subentro nella posizione del fallito previsto per legge, si trova a operare, ai fini del definitivo, come sostituto del fallito, non in rappresentanza della massa e a tutela delle ragioni di questa. Egli non può che vendere al prezzo indicato nel preliminare e non può recuperare in alcun modo gli acconti già versati, così che la massa resta esposta finanche all’eventualità di non ricevere proprio niente ove, come nella specie, prima del fallimento risulti che sia stato versato dal promissario l’intero prezzo.

XVIII. – Le superiori considerazioni dimostrano che, indipendentemente dal riconoscimento o meno della facoltà del curatore fallimentare di sciogliersi dal contratto, e indipendentemente dalla natura più o meno vantaggiosa della vendita, l’esecuzione del preliminare, da un lato, è sempre tecnicamente qualificabile come vendita negoziale (e non come vendita esecutiva concorsuale), e dall’altro non è in grado (ontologicamente) di garantire la realizzazione dell’effetto pratico che la vendita concorsuale persegue per il tramite della sua procedimentalizzazione.

L’atto al quale è tenuto il curatore, dopo il subentro ex lege nel preliminare, esaurisce la sua funzione nel contesto del preesistente rapporto obbligatorio, cosa che ne impedisce la ventilata comune prospettiva funzionale rispetto alla disciplina dei trasferimenti coattivi, quali che siano.

Ciò è d’altronde palpabile conseguenza del fatto che un trasferimento coattivo – come esattamente osservato in dottrina – non è mai fine a sé stesso.

Punta sempre a conseguire un fine pratico distinto, rispetto al quale semplicemente si pone come mezzo: il mezzo astrattamente più idoneo per giungere, coattivamente, ad avere ciò che è necessario alla realizzazione dei diritti patrimoniali dei creditori.

Mancando un tale requisito, cui è paradigmaticamente funzionale il procedimento che conduce alla vendita secondo l’art. 107 legge fall., non può invocarsi il successivo art. 108, e dunque non può discorrersi di potere purgativo del giudice delegato.

XIX. – Il tribunale di Monza, riprendendo argomentazioni più volte utilizzate dalla giurisprudenza di merito, ha richiamato, quale dato esegetico asseritamente rafforzativo della diversa tesi, la disciplina dell’art. 173, quarto comma, del CCII.

Questa norma, nei casi di subentro del curatore nel contratto preliminare di vendita, riconosce esplicitamente la possibilità del giudice delegato di ordinare con decreto la cancellazione delle iscrizioni pregiudizievoli.

La previsione dell’art. 173 del CCII non è applicabile al caso di specie, ratione temporis. Ma secondo il tribunale potrebbe essere impiegata quale corrispondente esegetico, a conferma della bontà dell’orientamento sostenuto in ordine al nesso tra l’art. 108 e l’art. 72, ultimo comma, legge fall.

A una simile possibilità di interpretazione evolutiva ha fatto ampio riferimento anche il procuratore generale nelle sue conclusioni.

Ed eguale associazione è stata ipotizzata dall’ordinanza interlocutoria, per il fine di verificare – s’è detto – “se ricorra un ambito di continuità tra il regime fallimentare e quello successivo e se la nuova norma sia quindi idonea a rappresentare un utile criterio interpretativo degli istituti della legge fallimentare“, secondo le possibilità offerte dalla giurisprudenza formatasi dinanzi a queste Sezioni Unite in merito al limite e alle condizioni di rilevanza di una simile pratica (Cass. Sez. U n. 12476-20, Cass. Sez. U n. 2061-21, Cass. Sez. n. 8504-21, Cass. Sez. U n. 42093-21, e infine anche Cass. Sez. U n. 8557-23).

XX. – In verità il richiamo all’art. 173 del CCII non è risolutivo nel senso indicato dal tribunale di Monza; a tutto concedere dimostra semmai il contrario.

In ogni caso tale richiamo non è un elemento di raffronto utile sul versante esegetico perché l’effetto che si pretende finisce con l’interferire sul terreno della vigenza della legge, connesso alla sua entrata in vigore e al correlato ambito di applicazione temporale.

XXI. – L’art. 173, sebbene nella relazione di accompagnamento ne sia illustrata la finalità in termini congiunti, di tutela dell’ “interesse del promissario acquirente ad acquistare un bene libero da iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli” e di risoluzione dei “contrasti giurisprudenziali in ordine alla natura – coattiva o meno – della vendita effettuata dal curatore in adempimento del contratto preliminare”, non ha revisionato la disciplina anteriormente rinvenibile nell’art. 72 legge fall. mediante una previsione di estensione mera del potere purgativo del giudice delegato.

L’art. 173 ha introdotto un precetto nuovo all’interno della disciplina degli interessi in gioco.

Il curatore può sempre sciogliersi dal contratto preliminare di vendita immobiliare anche quando il promissario acquirente abbia proposto e trascritto prima dell’apertura della liquidazione giudiziale una domanda di esecuzione in forma specifica ai sensi dell’articolo 2932 cod. civ., fermo che “lo scioglimento non è opponibile al promissario acquirente se la domanda viene successivamente accolta”.

Dopodiché, quanto alla situazione del contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis cod. civ. avente a oggetto un immobile a uso abitativo destinato a costituire l’abitazione principale del promissario acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado, ovvero un immobile a uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell’attività di impresa del promissario acquirente, il contratto non si scioglie – dice l’art. 173 – “sempre che gli effetti della trascrizione non siano cessati anteriormente alla data dell’apertura della liquidazione giudiziale e il promissario acquirente ne chieda l’esecuzione nel termine e secondo le modalità stabilite per la presentazione delle domande di accertamento dei diritti dei terzi sui beni compresi nella procedura”.

In concorrenza di codeste ulteriori condizioni – la seconda del tutto innovativa – il preliminare di vendita relativo a immobili di tal genere è postulato come oggetto di un subentro ex lege.

In tal prospettiva l’art. 173, quarto comma, ha introdotto la terza, e ancor più innovativa, regola, involgente la falcidia degli acconti versati: “nei casi di subentro del curatore nel contratto preliminare di vendita, l’immobile è trasferito e consegnato al promissario acquirente nello stato in cui si trova” e “gli acconti corrisposti prima dell’apertura della liquidazione giudiziale sono opponibili alla massa in misura pari alla metà dell’importo che il promissario acquirente dimostra di aver versato”.

Come conseguenza della falcidia “il giudice delegato, una volta eseguita la vendita e riscosso interamente il prezzo, ordina con decreto la cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo”.

XXII. – L’esito fondamentale è questo.

Da un lato, la disciplina non si pone in linea di continuità con quella della legge fallimentare, secondo l’ottica alla quale invece le citate decisioni delle Sezioni Unite hanno inteso doversi riferire il legittimo utilizzo del CCII quale dato comparativo funzionale a dirimere dubbi esistenti a proposito delle vecchie norme. Non si pone in linea di continuità perché l’art. 173 innova completamente il testo che caratterizza l’antecedente art. 72 legge fall. nel momento stesso in cui enfatizza una condizione che in quello non era data: e cioè che, non essendo gli effetti della trascrizione cessati prima dell’apertura della procedura, il promissario acquirente richieda l’esecuzione del preliminare nel termine e con le modalità per la presentazione delle domande di accertamento dei diritti dei terzi su beni compresi nella procedura stessa.

Dall’altro, non è vero che la previsione finale di cui al quarto comma dell’art. 173 sia confermativa della bontà dell’indirizzo giurisprudenziale sostenuto dal tribunale di Monza quanto all’art. 72 legge fall. (e all’art. 108 stessa legge).

Non è così perché l’art. 173, quarto comma, non ha previsto il potere purgativo quale semplice effetto del subentro del curatore nel contratto preliminare e della conseguente vendita.

L’art. 173 ha invece ritenuto di coniugare l’ambito delle tutele facendo perno proprio sulla necessità di garantire (per quanto parzialmente) i diritti di prelazione, tanto è vero che ha previsto il potere purgativo a valle della opponibilità alla massa degli acconti, nella misura pari alla metà dell’importo che il promissario acquirente possa dimostrare di aver versato prima dell’apertura della liquidazione giudiziale.

Nel CCII non viene in considerazione il fatto (mero) della vendita obbligatoria, e non trova diritto di cittadinanza neppure l’assunto che ogni vendita fatta in ambito concorsuale sia una vendita forzata.

Vengono in considerazione invece l’onere del promissario di conformarsi a un ben preciso schema procedimentale (la domanda di adempimento da fare con le modalità e nel termine stabilito per ordinarie le domande di accertamento dei diritti dei terzi) e il legame con la falcidia degli acconti già versati; la quale è l’unica che, sebbene limitatamente, consente di attuare un (parziale) soddisfacimento del creditore ipotecario, e che quindi permette (ancorché in questa misura) di prospettare l’effetto purgativo come sintonico alle caratteristiche effettuali di una vendita forzata.

È quindi vero che l’intervento sopra menzionato ha avuto (anche) il fine di risolvere in qualche modo il problema che interessa; ma è altrettanto vero che la soluzione è stata incentrata sulla codificazione della potestà di purgare le ipoteche (e di cancellare le iscrizioni, le trascrizioni o gli altri vincoli) come effetto di una accurata regolamentazione del tutto nuova.

XXIII. – Ora qui deve essere fatta una puntualizzazione a chiarimento.

Che il legislatore del CCII abbia inteso declinare in modo diverso il rischio dell’insolvenza quanto alla fattispecie del preliminare di vendita relativo alla casa di abitazione (o a quelle equiparate), per modo da estenderlo (parzialmente) anche al creditore ipotecario, è un fatto (per certi versi problematico, se lo si pone a paragone con la disciplina dell’esecuzione individuale) che in sé non aggiunge niente al caso di specie, e che soprattutto non può essere considerato per i fini di un’interpretazione evolutiva delle diverse previsioni della legge fallimentare del tutto silenti al riguardo.

Sono messi in gioco i limiti dell’interpretazione, ai quali il giudice è inevitabilmente astretto.

L’attività di interpretazione delle norme non può superare i limiti che si impongono nel contesto del suo svolgimento, perché sono codesti limiti a dare il senso della distinzione dei piani.

Il legislatore, fatto salvo il rispetto dei canoni costituzionali di ragionevolezza, è libero di modulare le tutele introducendo precetti nuovi; viceversa, il giudice non può che applicare al caso concreto “la legge intesa secondo le comuni regole dell’ermeneutica” (cfr. C. cost. n. 155 del 1990), per modo da disvelarne sì il corretto significato, ma purché codesto possa considerarsi insito in essa.

Questa cosa influisce sulla funzione dichiarativa della giurisprudenza – anche di legittimità – da contenere all’interno del confine proprio (v. già Cass. Sez. U n. 21095-04, Cass. Sez. U n. 413519, Cass. Sez. U n. 2061-21).

L’attività di interpretazione, per quanto la si voglia dilatare in funzione “evolutiva” (e in molti casi è opportuno dilatarla in tale chiave onde superare altrimenti inaccettabili lacune dell’ordinamento), non può mai spingersi fino a superare il limite di tolleranza e di elasticità di un enunciato, ossia – come efficacemente è stato detto – del significante testuale della disposizione che il legislatore ha posto, giacché da quel significante, previamente individuato, non può che muovere la dinamica di inveramento della norma nella concretezza del suo operare.

Ecco perché insistere sulla diversa scelta operata dal CCII non è produttivo nel caso di specie.

XXIV. – Naturalmente la Corte deve farsi carico del problema che il tribunale di Monza ha rappresentato quanto alla finalità di tutela sottesa alla disciplina dell’art. 72, ultimo comma, legge fall.

Si tratta di stabilire se il riferimento a una simile finalità consenta o imponga una soluzione diversa da quella fin qui indicata.

La risposta deve essere negativa.

La norma citata ha avuto (e ha) l’obiettivo di tutelare il promissario acquirente che abbia trascritto il preliminare di acquisto della casa di abitazione.

E tuttavia questa finalità rileva solo a fronte del rischio di sopravvenienza del fallimento.

Nella legge fallimentare il promissario acquirente resta tutelato dalla anteriorità della trascrizione del preliminare in vista dell’eventualità della dichiarazione di fallimento del promittente, non in rapporto alla posizione dei terzi titolari di anteriori diritti di prelazione.

La trascrizione del preliminare neutralizza quel rischio nel senso che, ai fini dell’adempimento degli obblighi discendenti dal preliminare, il fallimento è come se non ci fosse.

La tutela rispetto al creditore ipotecario è cosa diversa.

È diversa da quella presupposta dall’art. 72, e nella legge fallimentare non è considerata affatto. E non perché sussista una lacuna, ma molto semplicemente perché una simile ulteriore tutela si basa – come sempre accade nelle vendite immobiliari – sugli effetti della pubblicità costitutiva, che è materia del codice civile, non della legge fallimentare.

Ne deriva che l’anteriorità della trascrizione del preliminare secondo il regime dell’art. 2645-bis cod. civ. scongiura il rischio correlato all’eventualità del fallimento del promittente ma non può indurre a prospettare di per sé, in mancanza di una specifica previsione di legge, un’alterazione dei nessi di priorità delle iscrizioni ipotecarie già esistenti.

Quindi la ratio di tutela, sottesa all’art. 72, ultimo comma, legge fall., non è idonea a sostenere l’estensione del potere purgativo in caso di attuazione degli obblighi discendenti dal subentro del curatore nel contratto preliminare.

Né lo è il fatto che il promittente venditore, poi fallito, si sia assunto l’obbligo, col preliminare, di assicurare la liberazione del bene dalle ipoteche.

Tanto di dice avvenuto nella specie.

Ma neppure quest’obbligo, nel quale pur subentra ex lege lo stesso curatore per effetto della regola dettata dall’art. 72, ultimo comma, legge fall., sposta i termini del problema.

Esso non trasforma la vendita privatistica (e negoziale) in vendita attuata nell’alveo di un procedimento officioso finalizzato alla liquidazione dell’attivo fallimentare.

Suppone invece che ogni questione abbia a risolversi nell’ordinario operare dei rimedi privatistici, ivi compresa la garanzia per il caso di evizione (artt. 1482, ultimo comma, e 1483 cod. civ.).

XXV. – Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso della società Leviticus deve essere accolto e il decreto del tribunale di Monza cassato.

Segue il rinvio al medesimo tribunale il quale, in diversa composizione, si uniformerà al principio all’inizio esposto.

Il tribunale provvederà sulle spese del giudizio di merito.

Quelle del giudizio di legittimità possono essere interamente compensate, ravvisandosi gravi motivi della intrinseca complessità della questione di massima oggetto di contrasto.

PQM
P.Q.M.

La Corte, a sezioni unite, accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa al tribunale di Monza anche per le spese del giudizio di merito; compensa le spese del giudizio di cassazione.

Deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili, addì 12 dicembre 2023.

Depositata in Cancelleria il 19 marzo 2024.