Il supremo Collegio, con la sentenza 16920/09, ribadisce la parziareità delle obbligazioni condominiali ma apre alla libera contrattazione tra le parti: si tratta di disciplina derogabile.

la Corte di Cassazione ribadisce quanto già affermato nella sentenza delle Sezioni Unite n. 9148/08: le obbligazioni condominiali sono rette dal principio di parziarietà e non da quello di solidarietà.

Resiste la libera contrattazione delle parti. Invero,  la disciplina relativa alle obbligazioni condominiali è disponibile, ossia derogabile.

Quando ci sono più debitori, obbligati per un’unica causa e in considerazione dell’unicità della prestazione, ognuno di essi può essere chiamato a rispondere dell’intero, salvo poi il diritto di regresso sui coobbligati (art. 1299 c.c.). In assenza di disposizioni normative o contrattuali, nel caso di presenza di più condebitori la sia ha una presunzione ex lege di solidarietà (art. 1294 c.c.).

Sulla base di queste premesse ed in assenza di una specifica disciplina dettata in materia di obbligazioni condominiali, per lungo tempo larga parte della giurisprudenza e della dottrina hanno optato per la natura solidale delle obbligazioni condominiali.

Il risultato, ad esempio, era il seguente: se l’amministratore stipulava un contratto per lavori di manutenzione dello stabile e alcuni condomini non pagavano le quote stabilite, la ditta poteva agire per soddisfare il proprio credito contro un qualunque di condomini, per l’intera somma e anche se questo risultasse adempiente.

Con la sentenza delle Sezioni Unite n. 9148/08 la situazione cambia radicalmente: ogni partecipante al condominio risponde esclusivamente per la propria quota di debito nella misura individuata dall’art. 1123, primo comma, c.c. In sostanza la Cassazione afferma che le obbligazioni condominiali sono rette dal principio di parziarietà.

Pertanto,  sulla base di un contratto o di un regolamento di condominio contrattuale i condomini possono derogare al principio di parziarietà e tornare a quello di solidarietà.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto del 18 luglio 1998 il Presidente del Tribunale di Roma ingiungeva al Condominio (…), il pagamento, in favore di (…), della somma di L. 51.000.000, oltre interessi e spese.

Il 6 aprile 1999 l’ingiungente notificava ad alcuni condomini, tra i quali (…) e (…), unitamente al predetto provvedimento, in forma esecutiva, atto di precetto con il quale intimava loro il pagamento della somma di L. 43.682.140, oltre accessori

Con ricorso depositato il 10 luglio 1999 (…) proponeva opposizione all’esecuzione, deducendo l’insussistenza del diritto della società istante a procedere in executivis nei suoi confronti

Con sentenza del 9 maggio 2001 il giudice di primo grado, in accoglimento del mezzo, dichiarava l’inesistenza del diritto dell’opposta a procedere contro il (…) e lo (…).

Per quanto riportato in ricorso, il decidente motivava il suo convincimeli lo richiamando l’accordo stipulato nel gennaio del 1998 tra il creditore procedente e l’amministratore del condominio , accordo del quale affermava la diretta giustiziabilità da parte dei singoli condomini

Assumeva che con esso le parti avevano elevato a elemento costitutivo del diritto della parte istante di procedere ad esecuzione forzata per l’intero nei confronti di uno solo dei condomini, l’essere lo stesso moroso o, alternativamente, l’avere il creditore inutilmente sperimentato l’esecuzione nei confronti di tutti i condomini morosi.

In tale contesto, secondo il decidente, (…) doveva ritenersi gravata dall’onere di dimostrare, per poter validamente agire in executivis nei confronti dell’opponente, che, al momento del pignoramento, il (…) e lo (…) erano effettivamente morosi nel pagamento della quota di loro spettanza, per il che era indispensabile una attività probatoria che l’opposta non aveva svolto.

Proposto gravame, la Corte d’appello di Roma, in data 21 aprile 2005, in riforma della impugnata sentenza, rigettava l’opposizione all’esecuzione proposta da (…) e da (…)nei confronti di (…)

Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione (…), articolando due motivi e notificando l’atto a (…) e a (…).

Solo la prima ha notificato controricorso.

Entrambe le parti costituite hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente denuncia nullità della sentenza per violazione del principio del contraddittorio, essendo stata la decisione impugnata collegialmente deliberata in data 10 ottobre 2003, e cioè in epoca antecedente alla udienza di precisazione delle conclusioni e prima della scadenza del termine per il deposito di comparse conclusionali e repliche, in violazione del disposto dell’art. 352 c.p.c., e delle più elementari regole in materia di contraddittorio.

2 La censura è infondata.

Costituisce principio costantemente affermato in giurisprudenza che la diversità fra la data di deliberazione della sentenza indicata in calce alla medesima e la data dell’udienza collegiale fissata per la deliberazione stessa non è di per sè sola sufficiente a far ritenere, nel caso che quest’ultima sia successiva, che la sentenza sia stata deliberata prima di tale udienza, a far ritenere cioè superata la presunzione di rituale decisione della causa da parte del collegio: la diversità si configura invero, in via di principio, come frutto di mero errore materiale, inidoneo a incidere sulla validità della sentenza, anche in mancanza di attivazione del procedimento di correzione (cfr. Cass. 29 aprile 1991, n. 4741; Cons. di Stato 1 febbraio 1995, n. 44), salvo che non ricorrano altri, specifici elementi dimostrativi della rispondenza al vero della indicazione e dunque di distorsioni verificatesi nell’iter processuale.

Sennonchè nella fattispecie la denuncia del ricorrente, non solo non è supportata da siffatti, ulteriori indici, ma è smentita dal rilievo che la pronuncia impugnata risulta depositata in cancelleria il 21 aprile 2005, e cioè in un momento successivo alla scadenza del termine per il deposito di comparse conclusionali e repliche. A ciò aggiungasi che nel frontespizio della stessa trovasi evidenziato che le parti ebbero a precisare le loro conclusioni all’udienza del 2 novembre 2004, il che conferma che l’indicazione del 10 ottobre 2003 come data di deliberazione fu il frutto di un lapsus calami.

3 Col secondo mezzo il ricorrente deduce mancanza, insufficienza e contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia, violazione o falsa applicazione dell’art. 1294 c.c., nonchè omessa pronuncia, per avere la Corte territoriale rigettato l’opposizione sulla base dell’assunto che, a prescindere dall’accordo intercorso tra (…) e il condominio , per le obbligazioni da questi contratte devono ritenersi solidalmente obbligati tutti i condomini.

Sostiene invece l’impugnante che, nella valutazione della fondatezza dell’opposizione, era necessario tener conto del contenuto del predetto accordo, segnatamente evidenziando che non a caso il giudice di prime cure aveva ritenuto l’interpretazione dell’intesa raggiunta dalle parti assorbente rispetto alla identificazione della natura giuridica, solidale o parziaria, delle obbligazioni gravanti sui condomini. Del resto, a ben vedere, l’opposta si era limitata, nelle sue difese, a contestare l’invocabilità, da parte dei condomini ut singuli, dell’accordo, senza tuttavia mai attribuire allo stesso un significato diverso da quello riconosciuto dal giudice di primo grado.

Deduce quindi che, anche a non condividere siffatta impostazione, non era revocabile in dubbio che con l’accordo transattivo del gennaio 1998 le parti avevano inteso derogare al disposto dell’art. 1294 c.c., che prevede una presunzione di solidarietà per l’ipotesi in cui più persone siano obbligate per una medesima prestazione, salvo che dal titolo o dalla legge risulti diversamente.

4.1 La censura è fondata.

La scelta operata in dispositivo dalla Corte territoriale è basata su un doppio passaggio logico, l’uno esplicito e l’altro implicito.

Il primo è che ai debiti contratti dal condominio per il godimento dei beni e dei sevizi comuni e, in particolare, per l’effettuazione di lavori di ristrutturazione, di rifacimento o di manutenzione dell’edificio si applica il principio della solidarietà, per cui all’ adempimento delle relative obbligazioni possono essere chiamati per l’intero tutti e ciascuno dei condomini; il secondo è che agli effetti di siffatta solidarietà passiva le parti non possono sottrarsi a mezzo di accordi volti ad escludere il diritto del creditore di pretendere l’adempimento di tutto quanto gli spetta da uno qualsiasi dei condebitori.

Da entrambe tali affermazione il collegio ritiene di dovere dissentire.

Al riguardo mette conto anzitutto ricordare il tenore dell’art. 1294 c.c., che consacra la presunzione di solidarietà passiva: nelle obbligazioni con pluralità di debitori, dice la norma, questi si intendono tenuti in solido, salvo che dalla legge o dal titolo non risulti diversamente. Ed è addirittura ovvio che con quest’ultima espressione, il titolo, il legislatore abbia inteso evocare la fonte negoziale del rapporto, nella quale le parti ben possono diversamente normare la fase dell’adempimento, con la rinuncia del creditore alle agevolazioni che gli derivano dalla possibilità di chiedere e ottenere da uno solo dei soggetti passivi il pagamento dell’intero suo credito.

Tanto precisato, coglie evidentemente nel segno la critica formulata dal ricorrente in ordine alla omessa considerazione del contenuto dell’accordo stipulato tra il Condominio e l’impresa esecutrice delle opere di rifacimento dello stabile: lungi dal prescindere da quelle previsioni pattizie, pur date per certe nella loro struttura semantica, il giudice d’appello doveva con esse confrontarsi, al fine di appurare se avevano o meno la portata regolativa pretesa dall’opponente – condivisa dal giudice di prime cure e contestata dalla controparte nell’atto di gravame – e se, nella fattispecie, le condizioni ivi previste fossero state rispettate.

E in realtà, considerato che l’accordo transattivo concluso tra (…) e il Condominio , in persona del suo amministratore, prevedeva l’impegno della impresa costruttrice a eseguire eventuali pignoramenti per somme rimaste impagate esclusivamente nei confronti dei condomini che si fossero resi morosi e ad agire contro gli altri solo in caso di accertata incapienza degli stessi, riesce difficile negare che esso mirava proprio a escludere la secca applicazione della regola per cui i condebitori sono tenuti in solido, così integrando il titolo previsto dall’art. 1294 c.c..

Non è superfluo aggiungere che l’accordo, col suo trasparente intento di elevare a condizione dell’azione esecutiva di (…) la morosità del condomino o, alternativamente, l’infruttuosità dell’azione esecutiva nei confronti di tutti i morosi, è maturato in un assetto ordinamentale in cui era assolutamente maggioritaria la tosi della natura solidale della responsabilità dei singoli condomini per le obbligazioni contratte dal condominio verso i terzi, tesi solo di recente smentita dalle sezioni unite che, rivisitando la vexata quaestio, ne hanno invece affermato la natura parziaria (Cass. sez. un. 8 aprile 2008, n. 9148). Il revirement si è giovato dei concorrenti rilievi che la solidarietà passiva esige, in linea di principio, la sussistenza non soltanto della pluralità dei debitori e dell’identica causa dell’obbligazione, ma altresì della indivisibilità della prestazione comune, di modo che, in mancanza di quest’ultimo requisito e in difetto di un’espressa disposizione di legge, l’intrinseca parziarietà dell’obbligazione prevale; che l’obbligazione ascritta a tutti i condomini, ancorchè comune, è divisibile, trattandosi di somma di denaro; che la solidarietà del condominio non è contemplata da alcuna disposizione di legge e che l’interpretazione letterale e sistematica dell’art. 1123 c.c., impone di escludere che possa distinguersi tra profilo esterno e profilo interno dell’obbligazione; che, infine, in dipendenza del difetto di struttura unitaria del condominio , l’amministratore vincola i singoli nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote.

4.2 L’adesione del collegio a tale orientamento non consente tuttavia di ritenere assorbita ogni altra questione posta dalla presente controversia e guadagnato tout court l’approdo dell’accoglimento del secondo motivo di ricorso.

E invero, il mutamento del diritto vivente in punto di natura delle obbligazioni contratte dall’amministratore in nome e per conto del condominio non incide sul carattere disponibile della relativa disciplina e, quindi, sulla perdurante operatività dell’accordo transattivo del gennaio 1998, così imponendo la verifica della sussistenza di quell’elemento da esso elevato a condizione di legittimità dell’azione esecutiva proposta, nei confronti di uno solo dei condomini, per tutte le somme rimaste impagate: col solo effetto che la regolamentazione pattizia, che nel precedente assetto interpretativo si prestava a essere qualificata come limitativa della solidarietà, ora appare limitativa della parziarietà.

Ciò posto, ritiene il collegio che sussistano gli elementi per escludere l’esito positivo dello scrutinio, non essendo stata impugnata, in sede di gravame, l’affermazione del giudice di prime cure in ordine alla mancanza di prova della morosità del (…).

La linea difensiva di (…) si è invero incentrata nella stentorea reiterazione dell’assunto, per vero ininfluente, che l’opponente compariva tra i condomini a suo tempo indicati come morosi dall’amministratore, senza confrontarsi con gli argomentati richiami svolti, nella sentenza di primo grado, alla documentazione prodotta dall’opponente, successiva a quella versata in atti da (…), dimostrativa del venir meno della morosità del (…) ben prima dell’inizio dell’azione esecutiva.

Ne deriva che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, cassata la sentenza impugnata, deve essere accolta l’opposizione alla esecuzione proposta dal (…).

Segue la condanna di (…) al pagamento delle spese del giudizio di gravame e di quello di cassazione.

P.Q.M.

La Corte:

Rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie l’opposizione all’esecuzione. Condanna (…) al pagamento in favore di (…) del spese del giudizio di appello, liquidate in complessivi Euro 2.400,00, (di cui Euro 200,00, per spese) e di quelle del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.700,00, (di cui Euro 200,00, per spese), oltre spese generali e accessori, come per legge.

Così deciso in Roma, il 14 maggio 2009.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2009

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